Il Senegal in bilico. In un modello in bilico, l'unica alternativa è emigrare?

La controversa decisione di rinviare le elezioni accende le proteste e proietta nell’incertezza una delle democrazie più stabili del continente.


Non sono solo i colpi di stato, tornati di moda nel Sahel, a mettere in sofferenza la democrazia in Africa. Sono anche colpi di altro tipo che, con maggiore o minore frequenza, intaccano i progressi faticosamente compiuti nella regione nel corso degli anni: dai brogli alle violenze elettorali, dai bavagli ai media agli arresti degli oppositori politici. I paesi con sistemi politici relativamente più ‘aperti’ – il Senegal, ma anche il Sudafrica, il Ghana, il Kenya, la Nigeria e altri – sono baluardi preziosi quanto fragili, che i loro cittadini devono proteggere e sviluppare anche per conto di chi vive altrove nel continente.

La crisi in corso è tanto più preoccupante in quanto il Senegal, considerato una delle democrazie più stabili del continente, è l’unico paese dell’Africa occidentale a non aver subito colpi di stato militare nella storia recente. Al contrario, nel 2017, le truppe senegalesi avevano guidato una missione regionale nel vicino Gambia per cacciare il dittatore Yahya Jammeh dopo che si era rifiutato di riconoscere la sconfitta elettorale. E in una regione, quella del Sahel, epicentro di un’epidemia di putsch militari, il presidente Sall ha svolto un ruolo chiave nell’ambito della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas) per costringere le giunte militari a concedere elezioni e restituire il potere ai governi civili. Gli avvenimenti degli ultimi giorni scoprono però una realtà ben diversa e pregiudicano le credenziali democratiche del paese, alle prese con una sfida che potrebbe cambiarne il corso politico, sociale e storico. La crisi arriva al culmine di due anni di tensioni, in seguito a quello che l’opposizione denuncia come un tentativo deliberato di escluderla dalle elezioni...

L'intera analisi dell'ISPI a questo link:



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