Amalek, o la guerra santa di Netanyahu

La risposta all’attacco di Hamas ha fatto saltare il cordone di sicurezza che circondava alcune pagine dell’Antico Testamento. La questione della violenza religiosa diventa così ineludibile anche per l’Ebraismo


Il regresso morale che la terza guerra di Gaza ha innescato ha conosciuto una nuova accelerazione domenica scorsa quando il primo ministro israeliano ha paragonato i palestinesi agli Amaleciti, la popolazione che Saul, il primo re d’Israele, riceve l’ordine di sterminare da parte del profeta Samuele (cfr. 1 Sam 15). Subito dopo, Netanyahu si è spinto ancora più indietro nel tempo, stabilendo un nesso esplicito tra gli eroi dell’indipendenza del 1948 e Giosuè figlio di Nun, il successore di Mosè a cui l’omonimo libro biblico attribuisce la conquista della terra promessa, 3000 anni fa. Al confronto, il simbolismo di Hamas, legato alla moschea di al-Aqsa sul Monte del Tempio a Gerusalemme, appare quasi moderno, dato che il santuario islamico fu fondato “solo” 1300 anni fa dal califfo ‘Abd al-Malik e la presunta ascensione al cielo di Muhammad – che è la principale anche se non unica ragione per cui il luogo è sacro ai musulmani – risale ad appena 1400 anni fa.   
È grazie a questa raffinata griglia di analisi che la maggior parte degli studiosi ha sistematicamente sbagliato le previsioni negli ultimi decenni: dalla Turchia ai Fratelli Musulmani egiziani, dai jihadisti siriani a quelli afghani (vi ricordate la fugace apparizione dei “Talebani 2.0”?), per arrivare ad Hamas, è stato tutto un fiorire di “non guardiamo il discorso, guardiamo la prassi”. Salvo poi stupirsi quando questi movimenti hanno messo in atto quello che da decenni andavano predicando....

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