La crisi di Gaza e in generale la decennale, tragica, contrapposizione tra Israele e i Paesi Arabi è il frutto di una matassa inestricabile di torti e ragioni (soprattutto i primi, direi) da ambo le parti. Inestricabile anche perché, per quanto ovvio è opportuno ricordarlo, ogni “fronte” è in realtà una galassia di posizioni, di interessi, di visioni del mondo molto diverse.
Non solo: le stesse parti sono di fatto ostaggio di innumerevoli partite più grandi di loro: le contrapposizioni tra i blocchi, le rivalità tra i Paesi arabi (ai quali, del destino dei palestinesi, è da sempre fregato meno che meno), le ambizioni geopolitiche di potenze regionali, gli appoggi strumentali all’una o all’altra parte determinati da motivazioni del tutto estranee al destino di israeliani e palestinesi.
Per quanto sopra, un approccio razionale e “terzo” al problema non può che arrendersi all’impossibilità e, in definitiva, all’inutilità di soppesare e discernere le ragioni degli uni e degli altri e può solo dedicarsi a immaginare una soluzione possibile, con la consapevolezza che questa è difficile, improbabile, certamente non indolore, per nulla scientificamente definibile (perché sia chiaro che anche la formula “due popoli, due stati” è teoricamente perfetta ma la sua applicazione è complicatissima) per le mille implicazioni di qualsiasi scelta.
La riflessione di Lorenzo Colovini continua a questo link:
https://www.luminosigiorni.it/mondo/sicuri-che-non-si-tratti-di-antisemitismo/
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