L’inclusione che esclude. Perché non ci interroghiamo sulla classe sociale?

La distanza tra le classi sociali sta diventando sempre più ampia. In particolare, è assente dal dibattito italiano “la classe sociale d’origine”. Eppure, numerosi studi hanno dimostrato che tale variabile ha un impatto significativo, tra i maggiori, sulle traiettorie di carriera. tra gli adolescenti americani cresce la preferenza per una società più egualitaria e più giusta. Mi piace questa speranza in un mondo così, dove la classe sociale non è il miglior predittore del destino di una persona.


Cosa guadagna spazio e cosa lo perde nel dibattito sulle tematiche dell’inclusione e dei diritti civili? Mai come oggi, il tema della parità di genere è al centro del dibattito e, negli ultimi anni, hanno guadagnato molto spazio le tematiche Lgbtq+. In terza posizione, in crescita, il vasto tema delle disabilità e – a seguire – l’integrazione etnica e culturale.

Il 99% delle controversie sulle tematiche legate all’inclusione derivano dal modello “Big 8” concepito vent’anni fa da Deborah Plummer: orientamento sessuale, genere, nazionalità, età, etnia, disabilità mentale o fisica, religione e ruolo organizzativo.
Nelle aziende, la totalità delle azioni di intervento è su questi temi. Il nobile sforzo è quello di “neutralizzare” gli impatti negativi che queste dimensioni possono avere sulle traiettorie di carriera e sulle chance di occupazione. Se un’azienda non lo facesse, saremmo autorizzati a dire che – questa azienda – manifesta comportamenti discriminatori.
Ma, cosa manca in questo elenco?

L'intera analisi di Andrea Laudadio è a questo link:

https://formiche.net/2024/04/linclusione-che-esclude-perche-non-ci-interroghiamo-sulla-classe-sociale-scrive-laudadio/#content





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