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Che ne avete fatto di quel “Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”?

Credete di poterla tenere per voi quella pace che il Risorto vi ha donato? Forse non avete capito che la pace, quella vera, non va d’accordo con porte chiuse, muri levati e fili spinati e che la sua unica arma è la “spada a doppio taglio” del perdono?

C’è chi non può credere, perché non ha ricevuto l’annuncio, non è stato toccato dal messaggio di Gesù. Ma c’è anche chi, più o meno consciamente, non vuole credere, perché sa bene cosa questo comporti. “Andiamo anche noi a morire con lui”(Gv 11,16) – aveva esclamato Tommaso ben prima della Passione, quando il suo maestro aveva deciso di tornare in Giudea per ridare la vita all’amico Lazzaro, pur sapendo che questo gli sarebbe costato la vita. “Io non credo” sentenzia ora l’apostolo, con una coerenza maggiore rispetto a quelli che dopo aver visto il Risorto se ne stanno rintanati al riparo di quelle porte chiuse. “Abbiamo visto il Signore!” – dicono. Sì, ma l’avete anche udito, il Signore? Che ne avete fatto di quel “Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”? Credete di poterla tenere per voi quella pace che il Risorto vi ha donato? Forse non avete capito che la pace, quella vera, non va d’accordo con porte chiuse, muri levati e fili spinati? Non avete sentito che la sua unica arma è la “spada a doppio taglio” del perdono, quella responsabilità inaudita che avete ricevuto di “sciogliere o legare” i vostri nemici ai loro errori? Quel “come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi” non vi ricorda forse quest’altra parola di Gesù: “come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi” (Gv 15,9)? E l’amore è fatto per diffondersi, non può restare prigioniero della paura! 

Quanti, quanti come Tommaso decidono coerentemente di non credere piuttosto di dirsi credenti facendo finta di niente, beandosi di quell’“abbiamo visto il Signore”, ma impedendo alla fede di convertire la loro esistenza in vita donata.

Se non che, nel faccia a faccia tra credenti incoerenti e non credenti coerenti si insinua quel “non essere incredulo, ma credente”. No, il mettere il dito nelle piaghe trasfigurate non è stato necessario e il fissare lo sguardo su quel volto amato non sarebbe bastato. È per la Parola che Tommaso crede. Perché la fede non può che nascere dall’ascolto (cf. Rm 10,17); è sempre la parola viva ed efficace di Cristo a generarla. È la parola di Gesù che invita l’incredulo a permettersi di credere, che lo autorizza a non farsi bloccare dalla propria coerenza. “Sì, credere significa morire a sé stessi prendendo la croce dietro a me. Eppure chi crede ha la vita nel mio nome. Chi crede si perde, sì, ma per trovarsi”.

E Gesù non dice “non essere più incredulo, ma credente”, perché non si tratta di passare una volta per tutte da uno stato all’altro. La fede non è certezza ma una fune tesa sull’abisso del dubbio. E a guidare i nostri passi da equilibristi è sempre, a ogni nuovo istante, quella parola decisa e confidente: “Non essere incredulo, ma credente”. Permettiti di credere, anche se nell’incertezza, anche se, talvolta, nell’incoerenza.

Quando poi alla paura subentrerà la stanca disillusione di chi ti dice “vado a pescare” (Gv 21,3), di chi ti ripete che il mondo non potrà mai cambiare e la chiesa non vorrà mai cambiare, risuonerà ancora quella voce “non essere incredulo, ma credente”, nel tuo eterno oscillare, nel tuo continuo presente di incredulo credente.

(fr. GianMarco di Bose)


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