Qualche problema doveva esserci anche allora, se, nello slang popolar-giovanile, un prodotto di qualità non proprio superlativa poteva essere detto “della mutua”, con riferimento al Servizio sanitario pubblico: l’Italia non era la Svezia. In ogni caso, lo Stato sociale tentava, con qualche successo, di incrementare la qualità della vita anche dei ceti meno abbienti, il che alla lunga permetteva, soprattutto grazie all’istruzione, una certa mobilità sociale. È stata l’epoca d’oro del “ceto medio”.
Dal punto di vista ideale, quel progetto vedeva l’incontro tra programmi politici di ascendenza socialista, del tutto emancipati (anche quando targati, come a lungo in Italia, Partito comunista) dal modello sovietico e la tradizione del solidarismo cristiano. Le Chiese non hanno mai abbandonato l’intervento diretto nel sociale (la Caritas cattolica, la “diaconia” protestante) e, anzi, ne hanno sottolineato con ragione il carattere insostituibile. Ciò però, complessivamente, non ha impedito loro di superare ...
La riflessione di Fulvio Ferrario, professore di Teologia Dogmatica, continua a questo link:
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