Sembrava che la fede nella resurrezione fosse un fatto assodato mentre ora sembra di precipitare all'indietro quando l’annuncio delle donne parve “come un vaneggiamento"
Il racconto del vangelo di Luca narra per la terza volta un’apparizione del Risorto. Sembrava che la fede nella resurrezione fosse già un fatto assodato; quando i due discepoli di Emmaus fanno ritorno a Gerusalemme, infatti, trovano gli Undici che proclamano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!” (v. 34).
Ora ci sembra di precipitare di nuovo nella situazione descritta al v. 11, quando i discepoli all’udire l’annuncio delle donne ritennero quelle parole “come un vaneggiamento e non credevano ad esse”. Certo, possiamo spiegare questo contrasto pensando alla diversità di fonti cui ha attinto Luca nel redigere il suo vangelo e a un lavoro redazionale che non ha limato le contraddizioni, ma forse invece anche queste contraddizioni vogliono dirci qualcosa sulla fede nella resurrezione. Fede, fiducia che per gli Undici, come per noi, è segnata dalla gioia, dal dubbio, dalla fatica a credere.
Proprio mentre stavano parlando dell’incontro del Risorto con Simone e con i due discepoli diretti a Emmaus e rientrati a Gerusalemme dopo quell’incontro lungo la via, “Gesù in persona stette in mezzo a loro” e non lo riconoscono! A parole dicono di credere, in realtà non riconoscono la sua presenza.
“In mezzo a loro”, al centro della comunità, della chiesa mettono, mettiamo altro, forse altre persone, o un'altra immagine del Risorto, un Signore vincitore, trionfante che non porta più alcun segno di sofferenza nel proprio corpo. Il Risorto non corrisponde a ciò che gli Undici si aspettavano. Impauriti credono di vedere uno spirito estraneo al mondo fatto di corpi e di materia. E invece ci dice Luca, c’è continuità tra la vicenda vissuta su questa terra e la resurrezione anche se non ci è dato di sapere come. Il Risorto porta sul suo corpo le tracce indelebili delle ferite che hanno sfregiato il suo corpo, ferite provocate dall’odio, dal rifiuto e trasformate dall’amore. “Guardate le mie mani e i miei piedi. Sono proprio io”.
Commenta un padre della chiesa d’occidente, Pietro Crisologo: “Sono io. Non temete. Sono io, vivente tra i morti, celeste al cuore degli inferi … Non temere Pietro che mi hai rinnegato, né tu, Giovanni, che sei fuggito, né tutti voi che mi avete abbandonato, che avete pensato a tradirmi, che non credete ancora in me, anche se mi vedete. Non temete, sono io. Sono io, vi ho chiamati per amore, vi ho perdonato, vi ho sostenuto con la mia compassione, vi ho portato nel mio amore, e oggi vi accolgo per la mia sola bontà, perché il Padre non vede più il male quando accoglie suo figlio” (Discorsi 81).
Nulla di ciò che abbiamo vissuto andrà perduto. Il Signore raccoglie e conta le nostre lacrime (cf. Sal 56,9). La resurrezione di Gesù (e con la sua la nostra) non si impone con gesti eclatanti, chiede di essere accolta nell’affidamento della fede e compresa la luce delle Scritture. Per tre volte in questo capitolo di Luca si ribadisce la necessità di cercare il senso della morte e resurrezione di Gesù nella Scrittura (vv. 6-7; 26-27; 44); non basta il sepolcro vuoto senza il ricordo delle parole dette da Gesù. Lì troviamo il senso della sua vita, passione morte e resurrezione, lì troviamo il senso della nostra vita, della nostra passione e morte e la fede nella resurrezione. Allora saremo capaci di accogliere il saluto del Risorto, del Vivente in mezzo a noi: “Pace a voi”, quella pace che porta i segni del rifiuto e li trasforma in amore. “Di questo sarete testimoni!”.
(sr Lisa di Bose)
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