La crisi culturale e la diffusa insensibilità popolare non sono verso la fede, ma verso il modo troppo debole e poco rigoroso di presentare e insegnare la verità cattolica. Vi è troppa paura e poca audacia. Abbandonare il rigore argomentativo, dimenticarsi del fascino esigente e attraente della Verità, di cui la Chiesa romana è custode, ha avuto un senso forse ottant’anni fa, in un momento in cui la società era eccessivamente rigida, ma non ha più significato oggi. Il commento di Benedetto Ippolito
Qualche giorno fa il teologo Pierangelo Sequeri su Avvenire ha sollevato un dibattito importante a proposito della scarsa attenzione della cultura da parte della Chiesa. Come Roberto Righetto ha ben segnalato il 9 marzo sullo stesso quotidiano, in realtà siamo davanti ad una recente sollecitazione di una discussione che è in atto da tempo e che è stata affrontata anche su altri quotidiani cattolici molto autorevoli.
Stimolante mi è parso, ad esempio, l’intervento di Marcello Veneziani su La Verità del 10 marzo, nel quale, fuori dagli schemi ufficiali, la questione è stata spostata dall’esclusiva considerazione di questo pontificato ad un problema più generale riguardante la nostra epoca e l’Occidente nel suo insieme.
La prima osservazione di rilievo, a mio modo di vedere, è da concentrare nella definizione stessa di cattolicità. Infatti, da ormai decenni la Chiesa di Roma ha trascurato un’idea vera che per molti secoli ha contrassegnato la sua posizione ortodossa, vale a dire la demarcazione netta tra la determinazione specifica del cattolicesimo nei rispetti della più generale definizione di cristianità. Se a partire al XI secolo il cristianesimo cattolico si è frazionato in Oriente e Occidente, con la riforma protestante del XVI secolo anche in Occidente il cattolicesimo non è coinciso più con il cristianesimo.
Quindi se vogliamo parlare di crisi della cultura cattolica è dall’identità del cattolicesimo che si deve partire....
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