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Giovani: "Via dall'Italia!" - Una sindrome da colonia culturale

L’invito ad andarsene può essere accolto solo da una ristretta minoranza tra coloro che studiano o lavorano, che spesso già si trova avvantaggiata per censo, esperienze scolastiche e formative, età e genere


Puntuale e inesorabile come il tuono dopo il fulmine, alla caduta del governo Draghi sono seguiti i quasi rituali appelli ai giovani a emigrare e le esortazioni per chi ha figli giovani a farli emigrare.Ho trascorso periodi di studio e ricerca all’estero in diversi Paesi fin dal 1999 per poi lasciare il mio Paese, l’Italia, nel 2008. E lavorare in università cattoliche negli Stati Uniti, mantenendo rapporti stabili con il mondo accademico e intellettuale italiano, ma allo stesso tempo beneficiando di quel trampolino che è l’America verso altre aree del mondo globale. Sarò quindi l’ultimo a negare i benefici che la mobilità del lavoro (accademico, ma non solo) può portare: agli individui, alle loro famiglie, alle loro comunità nazionali, all’avanzamento delle conoscenze e capacità in tutti i settori professionali e lavorativi.

Allo stesso tempo, credo che sia necessario presentare tre argomenti per riequilibrare quell’idea secondo la quale, nell’Italia della politica dimostratasi incapace di essere all’altezza del “modello Draghi”, la sola salvezza consisterebbe nel lasciare il Paese.
C’è un argomento morale. Il problema non è soltanto che l’emigrazione di numeri consistenti di italiani (specialmente giovani) impoverisce l’Italia, ma rappresenta una regressione nella nostra idea di comunità umana. Il “chi può, scappi” configura una sorta di ritorno allo stato di natura. Infatti, per ogni italiano che riesce ad andarsene, ce ne sono molti altri che non possono o non riescono. L’invito ad andarsene è rivolto in teoria a tutti, ma può essere ascoltato, considerato ed accolto sono da una ristretta minoranza tra coloro che studiano o lavorano – una minoranza che spesso si trova già avvantaggiata per ragioni di censo, di esperienze scolastiche e formative, di condizione o settore lavorativo, di età e di genere. Presenta opportunità ad alcuni negandole a molti altri, e sulla base di criteri che non sono sempre di merito, ma spesso di privilegi ereditati – a parte tutte le considerazioni sulla meritocrazia come ideologia che propone un concetto falso di equità. All’invito ad andarsene è sotteso un disinteresse per il rischio che l’emigrazione di massa crei un Paese non solo più povero ma anche più ingiusto. Non è un caso che tra i paradisi immaginati dagli italiani come destinazione dopo la fuga dall’Italia ci siano Paesi (come gli Stati Uniti e il Regno Unito) in cui alle opportunità per un certo tipo di immigrazione qualificata corrispondono modelli di ingiustizia e diseguaglianza sociale ed economica di tipo sistemico che si sono accentuate negli ultimi anni.

La riflessione di Massimo Fagioli continua a questo link:


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