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La parabola della vita cristiana e l’ora che non s’immagina


Uno strano scenario quello che Luca ci presenza: un padrone che arriva in un’ora sconosciuta della notte e si mette a servire.

Uno strano scenario che tuttavia diventa immagine di ciò che costituisce la vita cristiana nel tempo che separa la vita dei credenti dal ritorno del loro Signore.

Gesù invita i suoi a vigilare e lega a questo invito una beatitudine. È beato chi sa abitare il tempo con vigilanza. Un invito profondamente legato alla vita di fede, ma anche un invito profondamente umano: è felice chi è vigilante, chi vive il tempo con consapevolezza, chi non si lascia vivere. Nel Vangelo è Gesù stesso che ci offre il modello della vigilanza e quindi anche della felicità. Paradossalmente è nell’episodio del Getsemani che Gesù ci mostra come essere felici. In un momento, una sera di grande lotta, Gesù non si lascia prendere dal sonno della depressione, non si lascia vivere, ma è vigilante, mentre i suoi discepoli non riescono a vegliare con lui. Nel Getsemani Gesù ci insegna a vivere la storia che ci separa dal suo ritorno: lottando contro il sonno e vivendo nella vigilanza.

In questa storia dobbiamo poi essere dei servi. Anche in questo caso è lui che ci ha dato l’esempio: venuto per servire e non per essere servito (cf. Lc 22,27). Nella storia i discepoli di Gesù devono essere vigilanti e servi. È Gesù stesso che ci ha insegnato cosa significa servire.

Ma poi, quando, dopo aver servito fino alla fine, si aprirà la porta per accogliere il Signore, si dovrà imparare anche a lasciarsi servire da lui. Perché è un Signore che sempre ci sorprende. È facile farsi servire, ma non è altrettanto facile lasciarsi servire. E Gesù ci indica proprio questo: la meta ultima della vita del discepolo non è la vigilanza, non è nemmeno il servizio, ma è la disponibilità a lasciarci servire da lui.

 

Gesù parla del suo ritorno e noi subito pensiamo a qualcosa di straordinario e lontano; a qualcosa di terribile inimmaginabile, che non ha nulla a che fare con la nostra vita di ogni giorno. Eppure l’annuncio del vangelo di oggi è in realtà una lode del quotidiano.

Infatti ogni ora della nostra vita, quella più semplice e ordinaria, quella più feriale e banale, quella che non ci immagineremmo mai, potrebbe proprio essere l’ora della sua venuta. L’amministratore «fedele e saggio» non è chiamato a fare cose straordinarie, né a grandi compiti di gestione economica o finanziaria, bensì a dare a ciascuno il cibo in tempo opportuno.

Anche ciò che potrebbe fare un servo «stolto e insipiente», a causa del prolungarsi dell’attesa, non è nulla di straordinario, ma semplicemente la «corruzione» del quotidiano, la volontà di fuggire da esso: diviene violento, tutto incentrato su di sé, smodato nel cibo, dedito all’ubriachezza. Sono tutte fughe dal quotidiano! Questa deriva del servo nasce dall’incapacità di dare senso alla vita ordinaria e alla quotidianità che porta alla noia. Chi non attende più nessuno nella sua vita finisce per disprezzare la quotidianità e per andare in cerca di effimeri diversivi.

Il Signore invece inviata i suoi discepoli a considerare il valoro di ogni ora, di ogni istate della loro esistenza. In ogni istante, nelle occupazioni più ordinarie, come quella di dare il cibo al tempo opportuno ai propri compagni di servizio, egli potrebbe venire. Lì lo potremo incontrare.

Il Vangelo di oggi ci invita a considerare il peso del nostro quotidiano, delle attività di ogni giorno, perché nell’ora che mai ci immagineremmo il Signore verrà. È un impegno serio per i discepoli di Gesù dal momento che «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

(Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli)

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