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Per cambiare il clima: è dal 1972 che se ne parla. Chi si ricorda il Club di Roma?

Nel 1972 usciva e circolava in milioni di copie, tradotto in diverse lingue, il Rapporto voluto dal Club di Roma sui limiti della crescita umana. Che cosa abbiamo imparato in cinquant'anni?

Nonostante l’istituzione nel 2021 di un ministero per la Transizione ecologica, lo sguardo della politica, con alcune rare eccezioni, sembra essere rimasto rivolto al passato


Nell’agosto del 1972 viene reso pubblico il Rapporto che il Club di Roma, su iniziativa di Aurelio Peccei, aveva commissionato a un gruppo di esperti del Mit di Boston, coordinati da Dennis Meadows. Uscirà a stampa, tradotto in trenta lingue e diffuso in 30 milioni di copie, in Italia con il titolo I limiti dello sviluppo (il titolo originale inglese era The Limits of Growth). Quell’opera – che analizzava l’evoluzione prevista dell’impronta antropica, a partire dall’evoluzione demografica – è considerata a ragione una sorta di capostipite tra i lavori scientifici che hanno indicato le conseguenze dell’azione dell’uomo sul pianeta, e compie cinquant’anni. Che cosa abbiamo imparato in questo mezzo secolo?

Molto, in realtà. I gruppi di studio transnazionali non hanno interrotto la loro attività, anzi, continuano a mostrare all’opinione pubblica, e, soprattutto, a chi ha avuto in questi decenni responsabilità di governo, i rischi legati alle abitudini di consumo delle risorse e agli effetti dell’attività umana sul pianeta. Come in molti altri settori, l’arrivo della Rete ha via via consentito una progressiva diffusione delle conoscenze, e sono aumentate le occasioni di incontro sovranazionali. A cominciare dalla Conferenza della Terra tenutasi a Rio del 1992, la prima riunione dei capi di Stato sull’ambiente, sino alla recente Cop26 di Glasgow, per discutere i rimedi e le misure da attuare per arginare il disastro o almeno ritardarlo il più possibile. Nel corso degli anni i rapporti di ricerca si sono susseguiti (ultimo, ad esempio, quello dell’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico).

L'intero articolo di Bruno Simili continua a questo link:

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