Domenica XXII PA - Lc 14,1-11

Le indicazioni di Gesù non hanno nulla a che fare con il galateo e il bon-ton mondano.
Ci chiedere di condividere il suo stile di vita che non e quello del padrone, bensì quello del servo che ha al centro della propria vita il bisogno dell'altro


Domenica scorsa l’Evangelo ci ha proposto l’immagine di una tavola imbandita alla quale, assieme ad Abramo Isacco e Giacobbe, siederanno tutti i profeti e una insospettabile moltitudine giunta dai quattro punti cardinali, dall’intero mondo, anche se non appartenenti al popolo scelto ed amato dal Signore. In quella casa sono entrati tutti quelli che hanno
 fatto quello che è giusto non secondo gli uomini, ma secondo la volontà del Padre, indipendentemente dalla loro etnia, dall’essere ebrei o meno.

Oggi ci ritroviamo di nuovo a un banchetto con Gesù che ha accettato l’invito di un capo dei farisei per il pranzo sabbatico. I commensali lo tengono d’occhio Gesù sapendo che la sua informalità e la sua schiettezza con facilità si discostava dal bon-ton mondano dando da discutere oltre a causare imbarazzo tra i presenti. Infatti è quello che accade. Vedendo che gli “invitati” sceglievano i posti migliori, coglie l’occasione apparentemente per dire qualcosa sul come comportarsi a tavola. In realtà quello che dice non ha nulla a che vedere con il galateo (se per curiosità si desidera vedere cosa si usava a quel tempo, si possono leggere i capitoli 31 e 32 del Siracide); ma intende dire anche a noi qualcosa di figurato che invitati a cogliere.

Gesù si rivolge agli “invitati”, ma il termine greco usato da Luca significa coloro che sono chiamati a partecipare al banchetto del Regno di Dio, il banchetto messianico che già domenica scorsa ci è stato presentato; si rivolge allora a tutti i credenti, quindi anche a noi. Bisogna fare attenzione a come articola il suo dire: “quando sei invitato” (è “oggi” che noi siamo invitati, è il tempo nel quale viviamo e nel quale siamo chiamati alla conversione), “allora” qui, invece, Gesù ci indica il tempo escatologico, ciò che sarà alla fine del tempo cronologico ed è qui che raccoglieremo i “frutti” di come avremo vissuto.

Quello che, però, Gesù ci indica non è una strategia per assicurarci un posto migliore: sarebbe solo una banale falsa umiltà; è invece l’esempio di ciò che deve caratterizzare l’intera vita di un suo discepolo, che troverà solo nel Regno la sua ricompensa. 

Ma perché proprio l’ultimo posto? Perché è il posto del servo, è il posto di Gesù, è quello di Dio. Tanto è vero che, per smontare le nostre costruzioni nelle quali lo mettiamo non tanto al centro quanto in alto, in cima a tutto per essere servito, è sceso sulla terra per dimostrarci il contrario; è sceso per servirci e – se lo imitiamo nel prendere l’ultimo posto, quello del servo – ci dirà: “Amico, passa più avanti! perché sei in sintonia con i miei progetti”.

Servire” è un termine che non piace perché lo identifichiamo con l’essere “schiavi”, con il non essere persone non libere, costrette a fare quello che altri impongono loro. 

Non è questo che intende Gesù. Per lui si è uomini liberi solo quando si ama, quando È il rinunciare all’avere al centro il proprio io, si è invece attenti al bisogno del fratello e lo si serve. È l’essere “liberi” da sé stessi, dalla propria progettualità per assumere volontariamente quella del Padre. 

 

Anche la seconda indicazione che Gesù dà al suo ospite è in questa falsariga: non invitare per essere a tua volta invitato, ma vivi la gratuità senza contraccambio. Scegli già oggi con chi stare, con chi condividere la tua vita: i ricchi, i parenti, gli amici, oppure i poveri e gli emarginati. In questo secondo caso troverai spalancata la porta stretta del Regno, quella che domenica sorsa ci veniva indicata come unica via d’accesso, anche al di là dell’aver “frequentato” il Signore.

Queste due indicazioni di vita non sono teoriche, è un pressante invito a praticarle sulla scia di quanto ha vissuto e praticato Gesù. Luca ci sta conducendo a scoprirlo a partire dal racconto della sua nascita in una stalla a Betlemme perché non c’era altro posto disponibile per accogliere Maria e Giuseppe; per giungere alla sua morte condividendo la croce in mezzo a due malfattori; senza dimenticare la sintesi che Gesù stesso fa della sua vita quando ricorda ai discepoli che è stato tra di loro “come colui che serve”, sopportando le continue critiche perché regolarmente accoglieva i peccatori e sedeva a tavola con loro.

L’atteggiamento, lo stile di vita che Gesù ci chiede di condividere, non è l’attesa di una ricompensa in questo mondo, ma la tensione dell’annuncio che il Regno di Dio si è fatto prossimo a tutti coloro che lo vorranno accogliere, al di là di ogni appartenenza etnica, sociale, al di là di ogni situazione esistenziale. Ci viene chiesto di avere come unico punto di riferimento il bisogno dell’altro, dei poveri condividendo con loro quello che abbiamo, degli storpi da sostenere perché non si reggono in piedi, dei ciechi che hanno bisogno di essere affiancati e guidati. Situazioni e caratteristiche da intendere non solo fisiche, ma pure esistenziali; povertà culturali, incapacità di reggere una vita corretta che porta continuamente a sbagliare e commettere errori, l’inesperienza o l’ignoranza di chi barcolla nel buio di una realtà complessa.


In fin dei conti l’annuncio che ci viene chiesto di interpretare, vivere e dare è quello delle Beatitudini e il loro invito a rialzarsi in piedi, mettersi in marcia verso il futuro, in fretta.

(BiGio)

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