In una delle “Vite” di Pacomio, padre dei cenobiti si racconta questo:
Quel “patto”, sigillato davanti a un Dio che allora Pacomio non conosceva perché era ancora pagano, fu l’inizio della sua conversione. Da quelle persone che erano state compassionevoli, infatti, scoprì l’esistenza dei cristiani e desiderò diventare come loro.
Due sono i motivi per cui evoco questo episodio.
Anzitutto perché ci ricorda che, come dice anche l’evangelo odierno, la vita cristiana non è prima di tutto l’adesione a una dottrina su Dio o sulla vita, ma uno stile di vita o un modo di stare davanti a Dio e davanti agli uomini, come quei servi svegli nell’attesa del loro padrone e come quei discepoli che vendono ciò che hanno per darlo in elemosina. Vivere da cristiani è mostrare con la propria vita che il nostro tesoro, ciò a cui teniamo di più, il nostro cuore, non è dentro di noi ma fuori di noi: nel Dio in cui confidiamo, e nelle persone che ci sono dati come compagni o che incontriamo. L’essere cristiani è un vivere decentrati.
Il secondo motivo è che questo episodio mi sembra illustrare splendidamente il “non temere!” con cui si apre l’evangelo odierno. Quando Pacomio ebbe dubbi sulla sua vocazione – che era una novità, giacché il monachesimo di quel tempo era esclusivamente eremitico, fuga dagli uomini, non servizio a loro – il personaggio luminoso lo confermò nella sua prima intuizione: Dio voleva per lui ciò che egli stesso aveva voluto all’inizio, “servire gli uomini”. Può non temere perché l’inizio del suo cammino non lo ha ingannato. Questo vale anche per noi: quando sorgono dubbi su ciò che viviamo, è importante ritornare agli inizi. Essi non sono “nostri”; sono invece ciò che Dio ha iniziato a fare con noi, e quello che ha iniziato a fare, lo porterà a compimento (cf. Fil 1,6). Per questo possiamo anche noi non temere. Se occorre diffidare di sé (cf. Mc 8,34), di Dio invece ci possiamo fidare, perché egli è fedele (cf. 2Tm 2,13)!
(fratel Daniel)
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