Lo scorso maggio, la nomina di un inviato speciale per la libertà religiosa e il dialogo religioso, nella persona di Andrea Benzo, da parte del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale del governo italiano è stata, indubbiamente, una buona notizia. In un contesto internazionale ove le persecuzioni e le discriminazioni delle minoranze religiose, la violenza settaria religiosa, nonché le violazioni della libertà di coscienza sono purtroppo in costante crescita – come viene ormai documentato dall'annuale report della US Commission on International Religious Freedom da oltre un decennio – è importante che i governi e la comunità internazionale rafforzino il loro sforzo per proteggere questo fondamentale diritto umano sancito dall’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Diritto umano che, purtroppo, per troppo tempo, è stato, nelle parole di un influente rapporto prodotto una decina di anni fa da una commissione parlamentare britannica, un "diritto orfano".
La nomina risponde alla domanda crescente emersa negli ultimi dieci anni, nell’ambito della società civile e della comunità scientifica, sulla necessità di fornire la politica estera di nuovi strumenti e capacità rinforzate per proteggere e promuovere la libertà di religione o di credo e di comprendere e interagire (engagement) con il crescente ruolo del fattore religioso nel sistema internazionale. Ad oggi le funzioni di protezione della libertà di religione o di credo nella politica estera sono delle realtà istituzionalizzate, in molteplici governi europei e nordamericani, in figura di ambasciatori e/o inviati speciali/commissari o simili per la libertà religiosa o di credo. Governi come quelli di Stati Uniti, Regno Unito, Danimarca, Olanda, Svezia, Canada, Germania hanno integrato questi ruoli nelle rispettive strutture di politica estera e, più di recente, coordinano le loro azioni attraverso dei network transnazionali come l'International Contact Group on Freedom of Religion or Belief e l’International Religious Freedom or Belief Alliance. La maggior parte degli stessi governi hanno anche sviluppato, all’interno delle proprie strutture diplomatiche, ruoli o unità il cui obiettivo include di migliorare la comprensione della dimensione religiosa della politica estera (religious literacy) e di rafforzare le capacità di interazione/coinvolgimento degli attori religiosi attraverso la politica estera (religious engagement capacity).
Dicevo che l’annuncio della creazione di questa figura all’interno della Farnesina rappresenta una buona notizia. Prima di tutto, l’Italia si dota finalmente di uno strumento di politica estera adeguato alle dichiarazioni internazionali che successivi governi hanno pronunciato ormai da tempo circa l’attenzione che il Paese porterebbe, nella sua azione internazionale, alla protezione della libertà religiosa o di credo.
L’Italia ha deciso di creare un inviato speciale con un duplice mandato, quello della protezione della libertà religiosa e, allo stesso tempo, quello della promozione del dialogo interreligioso. Questa combinazione segnala una sensibilità e un orientamento di policy specifico, che a mio parere va nella giusta direzione. L’approccio predominante dei governi a sostegno dell’avanzamento della libertà religiosa è stato essenzialmente di advocacye caratterizzato da un approccio spesso definito di naming and shaming e/o megaphone diplomacy (il paradigma qui è il dipartimento di stato americano che produce annualmente delle liste pubbliche di Paesi of particular concern per le violazioni della libertà religiosa). Purtroppo questo approccio di politica estera top-down non sembra aver portato frutti nella misura in cui sono quasi inesistenti i casi di miglioramento della situazione della libertà religiosa o di credo che possono essere ricondotti a queste forme di pressioni esterne.
L'intero articolo di Fabio Petito continua a questo link:
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