Prima la nomina (“creazione” secondo il linguaggio d’un tempo) di 16 nuovi cardinali elettori, poi il viaggio a l’Aquila nel nome e nel segno del perdono (si celebra la Perdonanza di Celestino V), poi due giorni di discussione romana con tutti i “principi della Chiesa” giunti dal mondo intero per fare il punto; su cosa? Chiedersi se il tema sia il futuro della Chiesa o piuttosto la riforma curiale denominata Predicate Evangelium appare sarcastico: se il futuro della Chiesa non fosse predicare il Vangelo quale sarebbe? Certo, predicare il Vangelo in questo mondo appare complesso, a dir poco complesso: Cina, Taiwan, Russia, Ucraina, Iran, Medio Oriente, Nicaragua, Venezuela, Messico, Libia, Sahel, Europa, Stati Uniti; solo elencare i titoli delle sfide alla predicazione del Vangelo fa venire i brividi. Ma è l’assenza di un titolo indispensabile che dovrebbe far riflettere: Onu. Cos’è?
La prospettiva che Francesco ha aperto all’odierna predicazione del Vangelo, oltre che alla luce del perdono, è all’ombra del multilateralismo. La Chiesa universale che guida il vescovo di Roma non è più e non potrebbe più essere una Chiesa occidentale. Meglio ammetterlo. È, vuole essere e deve essere una Chiesa universale. È qui che si coglie l’importanza dell’altra discussione della quale non si discuterà nelle ore che arrivano: il sinodo. ...
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