Guardare in faccia la morte

“Ehi Graham!”. E in cambio ti è arrivata una risposta giù di tono. Aveva visto la tua email, ti ha detto. Se ne sarebbe occupato. Ma adesso doveva prendere un aereo. E poi è scoppiato a piangere. “Mio figlio”, ha detto. “Mio figlio si è ucciso ieri notte”. 

Graham lo conoscevi da poco. Erano passati solo un paio di mesi da quando lo avevi incontrato la prima volta a casa di un amico comune. Era la persona più anziana nella stanza con una bella barba sale e pepe. Parlava poco, ma quando lo faceva tutti si fermavano per ascoltare la sua bassa voce baritonale mentre parole scelte con cura gli rotolavano fuori dalle labbra. Avevi sempre desiderato avere amici maschi più grandi di te e in seguito, incoraggiato da un amico comune, hai fatto in modo di rivederlo. 

Ti ha invitato nel suo appartamento. Ha cucinato ed entrambi avete mangiato e bevuto e chiacchierato di scrittura, politica, attivismo. Lui ha parlato di un progetto di scrittura con cui stava avendo qualche difficoltà. Poi tu gli hai raccontato che stavi pensando di abbandonare la strada della scrittura a tempo pieno, visto che diventava sempre più difficile pagare le bollette. 

Una settimana dopo la cena ti ha chiamato. Hai risposto alla telefonata, allegro. 
“Ehi Graham!”. E in cambio ti è arrivata una risposta giù di tono. Aveva visto la tua email, ti ha detto. Se ne sarebbe occupato. Ma adesso doveva prendere un aereo. E poi è scoppiato a piangere. “Mio figlio”, ha detto. “Mio figlio si è ucciso ieri notte”. E poi ha cominciato a chiedere scusa, assicurandoti che avrebbe dato un’occhiata alla tua email al suo rientro. Hai protestato, ribadendo che non c’era niente di più importante che affrontare questo tragico incidente. Il fatto che le persone chiedano scusa quando scoppiano a piangere in pubblico (una cosa molto più comune in occidente rispetto alla Nigeria, dove sei nato), ti sembrava assurdo.



L'articolo uscito su Africa Report e ripreso da Internazionale, continua su questo link:


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