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Domenica XX PA – Lc 12,49-57

Gesù non accusa di doppiezza come l’etimologia della parola “ipocrita” farebbe pensare, ma il fatto che non ci si decide a fare “ciò che è giusto” perché, il giudicare quello che lo è in quel e in questo nostro tempo, è il compito dei discepoli del Signore.


Nelle settimane precedenti Luca ci ha presentato ripetutamente due atteggiamenti opposti derivanti dal ritardo del ritorno del Padrone. Oggi ci sottolinea che questo ritardo non autorizza alcun rimando delle nostre scelte. 

È necessario che sappiamo leggere questo nostro tempo alla luce della vita di Gesù; per noi è come un prisma e una lente di ingrandimento per comprendere le urgenze del nostro tempo ed agire di conseguenza.

 

Quella di oggi è una pericope nella quale si accavallano immagini che ci sembrano apocalittiche: fuoco sulla terra, divisioni fin dentro le famiglie, fino ad una invettiva contro coloro che si dimostrano incapaci di leggere la realtà della storia che vivono. Sembrano. 

Gesù parla attraverso delle immagini, che hanno bisogno di essere comprese e interpretate. Il fuoco provoca calore e luce, ma lo fa consumando e divorando. 

Non si riferisce di certo quello del giudizio, del castigo finale, dell’inferno. A quale fuoco allora si riferisce, che lui avrebbe già gettato sulla terra e del quale afferma: “cosa posso volere se è già stato acceso?” (non come traduce la Cei: “come vorrei fosse già acceso!”) tanto che “d’ora in poi” vi sarà divisione nelle famiglie.

Per comprendere bisogna risalire all’inizio dell’Evangelo quando Giovanni Battista annunciava che dopo di lui sarebbe venuto uno che avrebbe battezzato “in Spirito Santo e fuoco” (3,16) alludendo già alle “lingue come di fuoco” che si sarebbero posate sugli Apostoli nella Pentecoste che fanno “ardere” il cuore come ai discepoli di Emmaus mentre “partendo da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,13-25). Il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra è la sua passione di amore per l'uomo e la sua salvezza; è quello della sua Parola, dell’Evangelo e dello Spirito Santo: che cosa può volere di più? Il compiersi della sua vita, della sua missione di salvezza per l’umanità intera, attraverso l’immersione (il battesimo) nella morte che lo porterà alla risurrezione, al “sì” del Padre per una vita vissuta in quel modo. Lo ha già annunciato due volte e, certamente, non sarà una passeggiata, un “combattimento” facile.

 

Lui ci chiede di seguirlo prendendo la nostra croce (Lc 14,27) e questo comporta una scelta netta; anche all’interno di una stessa famiglia ci sarà chi lo seguirà e chi no; non è più possibile tergiversare e, questo non può non provocare divisioni, incomprensioni.

Quando si incontra il “fuoco” della sua parola, si accende il tempo delle scelte, delle decisioni. Non si può far finta di nulla, temporeggiare, differirle per comodo o, peggio per scelta. Ecco allora la sua dura invettiva: “IpocritiSapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?”

Gesù non accusa di doppiezza come l’etimologia della parola “ipocrita” farebbe pensare, ma proprio per il fatto che non ci si decide a fare “ciò che è giusto” perché, il giudicare quello che lo è in quel e in questo nostro tempo, è il compito dei discepoli del Signore.

 

Già, ma cosa è “giusto”? È il saperlo che ci permette di fare la scelta che spartisce nettamente la realtà storica di ieri come del nostro oggi e del futuro. Se pensiamo in termini “civili” probabilmente corriamo il pericolo di sbagliare. Non corrisponde semplicemente e direttamente alla giustizia sociale, ma per la Scrittura corrisponde a ciò che è la volontà di Dio che, spesso, non pratica i nostri sentieri.

Ma se crediamo nella Risurrezione e nella nostra vita è presente anche il Giusto per eccellenza e, il celebrare (= rendere attuale) la sua vita nell’Eucaristia partecipando al Pane Unico, ci rende il suo corpo. Il nostro agire, come persone e ancor più come comunità, dovrebbe manifestare quello spartiacque che indica Gesù e che si concretizza in un modo di vivere. 

Come in tutti i tempi la società ci propone di porre al centro della nostra vita il nostro ego, al contrario le Scritture il bisogno dell’altro sul quale fermarsi, chinarsi, dare e offrire quanto è necessario perché quel problema si rivolva. Non solo per seguire le indicazioni della parabola del samaritano ma, soprattutto, perché è quello che Lui ha fatto quando irruppe nella vita dell’uomo, chinandosi su di un popolo che non lo conosceva, dandogli le risorse per uscire dalla schiavitù egiziana, facendolo diventare il “suo popolo” sul Sinài, stringendo quell’Alleanza che lo impegna a fare altrettanto.

 

Se non lo facciamo quell’invettiva del Signore è per noi: “Ipocriti!” e il suo invito chiaro e netto: “Giudicate da voi stessi quello che è giusto!”. Lo sapremo fare?

 

(BiGio)

 

PS: Fra poco più di un mese saremo chiamati a votare e anche questo significa “sporcarsi le mani”, “prendere su di noi la propria croce”, non in base a quanti simboli religioso ci vengono sbandierati davanti al naso, non in base a prospettive di breve termine, ma rispetto alla presenza che sapremo dare noi (e chi eleggeremo) rispetto a ciò che ègiustoinnanzitutto per il mondo sotto scatto dalla crisi causata dal riscaldamento globale, poi per la nostra Italia ma avendo anche uno sguardo più ampio sull’Europa e sugli altri scenari mondiali che ci vedono coinvolti direttamente o meno. Sapendo che lo potremo giudicare dai frutti che, quanto sarà realizzato, porteranno in futuro. A noi starà il seminare coscienti che assieme al grano crescerà anche la zizzania, ma pure che il raccogliere non saremo a noi, bensì le future generazioni.

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