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VIII Domenica PA – Lc 6,39-45
Indicazioni esigenti quelle che Gesù offre per essere "alberi buoni". Ma non sono una legge sanzionata se non vissuta in pienezza. Sono invece una bussola, una indicazione sulla quale camminare, per saper continuamente scegliere quale tra le due vie scegliere
Con questa domenica si termina la lettura continua del Discorso della pianura iniziato tre domeniche fa e pure si conclude questo periodo liturgico nel quale ci è stato presentato il “programma” di Gesù: mercoledì, si inizierà il cammino verso la Pasqua, il centro di ogni anno liturgico. Da questa si dipanano tutti gli altri percorsi che invitano alla sequela e alla comprensione del messaggio del Signore seguendo, quest’anno, il particolare punto di vista di S. Luca.
A questo evangelista non interessa, come invece a Matteo, fare polemiche con i farisei e usa i medesimi esempi di Gesù che sono nell’Evangelo di oggi, per insistere sulla formazione dei discepoli, perché possano giungere ad essere come il loro Signore. Questo è uno dei suoi scopi principali.
Non per nulla tutto rimane sotto quel “A voi che ascoltate dico…” che Pietro interpreta, non semplicemente assecondando l’invito assurdo di gettare nuovamente le reti in pieno giorno, ma fidandosi, abbandonandosi alla sua Parola. È questo che lo porta, a sua volta, a diventare capace di “catture uomini per la vita”. Per riuscirci, è necessario lasciare le progettualità basate esclusivamente sulle proprie esigenze personali e lasciarsi coinvolgere nella missione di Gesù che passa tra gli uomini guardando i loro bisogni, le loro domande di senso e rispondendo con fatti concreti. È per questo che rende il suo vivere è una sorpresa continua impossibile da definire, da rinchiudere in uno schema già conosciuto, che “strappa” le nostre reti. È una sorpresa continua perché, se l’attenzione è sull’altro, non c’è mai nessuna persona uguale ad un’altra e, quindi, la risposta non potrà mai essere la stessa, avrà sempre almeno delle sfumature diverse e, in questo, sorprendenti.
Nel brano di oggi Gesù continua a dare istruzioni attraverso esempi concreti di vita, mettendo in scena sempre due realtà: due ciechi, un discepolo e il suo maestro, un uomo e suo fratello, un albero buono e uno “guasto”, frutti pregiati e rovi, un uomo buono e uno cattivo.
Continua così la proposta incontrata all’inizio del Discorso della pianura, che si è sviluppata nella diade tra le beatitudini e i lamenti, a dirci che siamo continuamente posti difronte a due vie tra le quali scegliere. È questo un tema che attraversa come un filo rosso l’intera Scrittura. Lo possiamo toccare con mano ed esemplare chiarezza per esempio nel capitolo 30 del Deuteronomio: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male …”.
Le due vie sono state anche subito al centro dell’insegnamento della Chiesa nascente, come testimonia la Didachè e che corrispondono alla “porta stretta” dalla quale siamo invitati ad entrare, facendo attenzione che il sovrappiù di grazia che Dio ci donerà, andrà nella stessa direzione con la quale ci saremo fatti strumenti della sua misericordia. Questa affermazione chiudeva l’Evangelo di domenica scorsa annunciando anche che alla fine “una buona misura, pigiata, scossa e traboccante ci sarà versata in grembo”, cioè di inaspettata e non calcolabile abbondanza.
Ma come non essere ciechi? Cosa garantisce che il nostro operare è sulla scia dell’agire di Gesù? Come riconoscere se il nostro procedere produce “frutti buoni”? se questi si vedranno dopo, al momento del raccolto che, molto probabilmente, non sarà nemmeno opera nostra? Il nostro compito è quello della semina: ma seminiamo grano o gramigna?
Luca ci presenta alcune condizioni per essere un “albero buono”. La prima è l’esigenza di una formazione o di una preparazione che non ha nulla di intellettuale, ma che è essenzialmente “sequela”, imparando a vivere come lui per poter giungere a dire, come fa S. Paolo, di essere “con-formati” a lui tanto da non essere “più io che vivo ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
La seconda condizione è l’essere coerenti tra quello che diciamo e quello che facciamo. L’esempio proposto da Gesù è quello della pagliuzza e della trave, che ripropone in altri termini quel “non giudicate” ma “per-donate”, siate cioè dono per gli altri o, meglio, siate capaci di essere lo strumento della capacità di Dio di essere con il cuore di chi soffre o sbaglia.
La terza viene illustrata da esempi sugli alberi: uno buono e uno cattivo. Questo però non desidera invitare ad una lettura morale o, peggio, moralistica: solo Dio è buono e, infatti, il termine greco usato è kalos, che significa “bello”. È il medesimo aggettivo adoperato, per esempio, nel definire il “buon pastore” e lo è perché “dà la propria vita per le pecore”: quello che qui interessa è dunque l’agire.
L’albero “buono” è quello che offre buoni frutti; i “maestri” (e i discepoli saranno presto chiamati ad esserlo …) sono “buoni” se i loro frutti lo sono e lo saranno. I loro insegnamenti guidano coloro che gli sono stati affidati all’ascolto del Signore per mettere in pratica le sue parole, oppure li hanno portati a dipendere dai loro discorsi? I primi sono frutti “buoni”, i secondi no. I primi saranno stati maestri (alberi) buoni, gli altri no.
Ma c’è un’altra cartina di tornasole che può essere usata. È il come si parla, perché fa trasparire quale sia il cuore di chi si esprime. L’agire e il parlare non possono essere disgiunti; se lo sono attenzione perché qualcosa non torna …
La liturgia in questo cammino con l’Evangelo di Luca ci ha presentato, oltre l’identità di Gesù, un primo approfondimento catechetico basato sul modello delle “due vie”, sostenuto dal tema fondamentale della coerenza tra il dire ed il fare nell’amore verso tutti, anche verso i nemici. Questo caratterizza i seguaci del Signore anche oggi. Non è facile ed è per questo che prima di tutto Luca ci rassicura garantendoci che la misericordia del Padre precede ogni cosa. Le indicazioni che Gesù ha dato, non sono una legge sanzionata se non vissuta in pienezza. Sono invece una bussola, una indicazione sulla quale camminare. I cristiani non sono e non saranno mai giunti a realizzare pienamente gli obiettivi dati, l’importante però è che siano e rimangano coerentemente in cammino sulla via, quella buona, scelta tra le due prospettate. In fin dei conti, per loro vale sempre la prima definizione con la quale sono stati chiamati: quelli della via
(BiGio)
Lc 6,39-45: Detti paradossali, che scuotono e rompono la nostra inerzia
Venti di guerra ... Le parole che usiamo sono come i frutti dell’albero, rivelano di cosa ci siamo nutriti, di quali parole abbiamo fatto tesoro, di quale messaggio abbiamo incarnato
Venti di guerra scuotono la terra e le travi che abbiamo negli occhi, quelle che finora abbiamo fatto finta di non vedere, non possiamo più nascondercele. Siamo tutti chiamati in causa, tutti complici nella gestione delle cose del mondo, delle ricchezze e del benessere, delle relazioni e delle concessioni al male che abbiamo fatto per interesse, con la speranza, inutile e vana, che il male non venisse mai fuori. E ora non possiamo meravigliarci se quest’albero produce ancora frutti cattivi, se solo il fosso è la meta di ciechi che hanno fatto da guida ad altri ciechi. E proprio ora, in questo contesto di tenebra, c’è ancora una Parola che ci inchioda a ciò che è attuale.
Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti;così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti.I vasi del ceramista li mette a prova la fornace,così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo (Sap 27,4-5)
Sono principi di saggezza umana e criteri di buon senso. Il modo in cui l’uomo discute e ragiona rivela la verità del suo cuore. Servono a poco le belle intenzioni, servono a nulla le parole di circostanza. Ci sono momenti, e sono in genere quelli difficili, in cui la vita e le vicende diventano un setaccio che scuote tutto e permette di vedere nel cuore di ognuno. Si possono avere mille buone motivazioni, ma tutto dipende da come sappiamo discutere, da come sappiamo incontrarci quando le idee sono diverse, quando i pensieri non convergono e si confrontano le differenze. E il setaccio è spesso offerto proprio dal nemico, da coloro che non sopportiamo, da quelli che ci fanno del male. Sono loro ad offrirci l’occasione di uscire allo scoperto, di far emergere il nostro modo di ragionare e il nostro modo di vivere. È davanti a loro che mostriamo chi siamo davvero.Ci vuole il fuoco di una fornace per provare la resistenza di un vaso, ci vuole il fuoco di situazioni che non ci piacciono e ci mettono alla prova per farci vedere che cosa abbiamo nel cuore. Sono quelli i momenti in cui non riusciamo a fingere.
Il frutto dimostra come è coltivato l’albero,così la parola rivela i pensieri del cuore.Non lodare nessuno prima che abbia parlato,poiché questa è la prova degli uomini (Sap 27,6-7)
Ed è proprio al linguaggio, noi discepoli del Verbo, che dovremmo prestare attenzione. Sono le parole che usiamo a dire chi siamo e cosa pensiamo. È il modo in cui reagiamo davanti a ciò che non condividiamo a dire la bontà di ciò che vogliamo essere e vogliamo donare. A volte sembriamo mossi da buone intenzioni, da finalità che sanno di Vangelo, e poi le nostre parole e il nostro linguaggio ci tradiscono, ci fanno uscire allo scoperto, rivelano i pensieri nascosti del cuore. Le parole che usiamo sono come i frutti dell’albero, rivelano di cosa ci siamo nutriti, di quali parole abbiamo fatto tesoro, di quale messaggio abbiamo incarnato. ...
La riflessione di Marco Manco continua a questo link:
L'appello dell'UCOII agli Imam: Oggi pregate per la Pace
L’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia invita tutti gli Imam dello stivale a dedicare il sermone di domani, venerdì 25 febbraio, ad una preghiera per la pace in Ucraina.
Il mondo intero sta vivendo momenti di angoscia e preoccupazione per le notizie che arrivano dalla Russia.
Pregheremo tutti che Iddio possa colmare di pace l’umanità intera, che ancora oggi vive molti conflitti armati, provocando una sofferenza continua a molte popolazioni.
Ci appelliamo alla comunità internazionale affinché siano protetti i civili e che si arrivi subito ad un cessate il fuoco. Siamo preoccupati per la vita dei civili e spaventati dalle sconosciute conseguenze di questo ennesimo conflitto armato.
Roma, giovedì 24 febbraio 2022
Ufficio Stampa UCOII
Dov'è il posto dei cristiani quando la realtà (la guerra) lacera il tessuto sociale riversando sangue, lacrime, orrore,
Agosto 1968: invasione della Cecoslovacchia, i tank soffocano la «primavera» di Praga. In quei giorni il metropolita Antonij rivolge ai suoi fedeli smarriti e amareggiati – come tutti noi oggi – parole esigenti, che recidono alla radice false giustificazioni, calcoli politici e opportunismi, ma sono cariche della «speranza che non delude».
Un intervento esigente, datato ma sempre attuale di Antony Bloom
Ancora una volta sulla nostra terra umana tanto sofferente e provata il calice dell’ira, il calice del dolore, il calice della sofferenza si riempie fino all’orlo, e ancora una volta trabocca. E noi non possiamo restare indifferenti al dolore che ora raggiunge migliaia e migliaia, milioni di uomini. Davanti alla nostra coscienza cristiana si leva ancora una volta tremenda, esigente la parola di Dio, o più esattamente la figura di Cristo stesso, che si è fatto uomo, è entrato nel nostro mondo, non ha cercato né gloria né virtù, ma si è fatto fratello degli oppressi e dei peccatori.
La solidarietà di Dio con l’uomo non mina la sua solidarietà con il Padre; e qui ci troviamo davanti a un’immagine che facciamo molta fatica a comprendere e ancor di più a mettere in pratica: l’immagine di Colui che ha voluto essere unito sia con chi ha ragione, sia con chi è colpevole, che ha abbracciato tutti con un unico amore, l’amore dei patimenti in croce nei confronti di alcuni, e l’amore gioioso, ma sempre crocifisso, nei confronti di altri.
Ora nelle coscienze di molti campeggia l’immagine dell’ira, e in questa immagine si scelgono alcuni e si escludono altri; nell’esperienza della giustizia, della comprensione e della compassione i cuori umani scelgono alcuni e maledicono altri. Ma questa non è la via di Cristo e neppure la nostra via: la nostra via consiste nello stringere gli uni e gli altri in un unico amore, nella consapevolezza e nell’esperienza dell’orrore; consiste nell’abbracciarli non con comprensione ma con compassione; non con condiscendenza ma con la consapevolezza dell’orrore davanti all’ingiustizia, e della croce davanti alla giustizia.
Io invito tutti voi che vedete quanto sta succedendo nel mondo, a considerare ancora una volta quale debba essere la nostra posizione di cristiani, dove sia il nostro posto in questa lacerazione del tessuto da cui si riversano sangue, lacrime, orrore, e a comprendere che il nostro posto è sulla croce, e non semplicemente ai piedi della croce.
......
L'intero intervento di Antony Bloom a questo link:
Beati i "costruttori" di pace, perché saranno chiamati figli di Dio
...la pace si "fa"...con le mani, con la mente, con il cuore e con l'adesione incondizionata al disegno di Dio...ogni giorno, partendo dalle piccole cose della vita quotidiana.
I tre nomi shalom, eirénè e pax, considerati nella loro nativa portata etimologica, mettono in evidenza tre aspetti della realtà «pace», che già presenti nell'AT ebraico e successivamente esplicitati nella versione greca e nel Nuovo Testamento, e ripresi poi dalla riflessione ecclesiale cristiana, illuminano la densità della realtà alla quale si riferiscono: la totalità integra del benessere oggettivo e soggettivo (shalom), la condizione propria dello stato e del tempo in cui non c'è guerra (eirénè) e la certezza basata sugli accordi stipulati e accettati (pax).
In particolare, il termine ebraico connota una componente religiosa della pace che rischia di andare perduta se non viene continuamente richiamata. Pace, infatti, indica l'armonia profonda che si realizza nella persona umana, nei rapporti fra le persone e fra i gruppi sociali, quando si seguono le leggi della Vita e si resta in sintonia con l'azione di Dio.
I costruttori di pace sono coloro che, avendo raggiunto una profonda armonia personale, sono in grado di indurre nella società dinamiche nuove di riconciliazione perché sanno portare il male degli altri. Le comunità costruttrici di pace sono i gruppi sociali capaci di svolgere questa stessa funzione all'interno della oileuméne umana.
I tre nomi shalom, eirénè e pax, considerati nella loro nativa portata etimologica, mettono in evidenza tre aspetti della realtà «pace», che già presenti nell'AT ebraico e successivamente esplicitati nella versione greca e nel Nuovo Testamento, e ripresi poi dalla riflessione ecclesiale cristiana, illuminano la densità della realtà alla quale si riferiscono: la totalità integra del benessere oggettivo e soggettivo (shalom), la condizione propria dello stato e del tempo in cui non c'è guerra (eirénè) e la certezza basata sugli accordi stipulati e accettati (pax).
In particolare, il termine ebraico connota una componente religiosa della pace che rischia di andare perduta se non viene continuamente richiamata. Pace, infatti, indica l'armonia profonda che si realizza nella persona umana, nei rapporti fra le persone e fra i gruppi sociali, quando si seguono le leggi della Vita e si resta in sintonia con l'azione di Dio.
I costruttori di pace sono coloro che, avendo raggiunto una profonda armonia personale, sono in grado di indurre nella società dinamiche nuove di riconciliazione perché sanno portare il male degli altri. Le comunità costruttrici di pace sono i gruppi sociali capaci di svolgere questa stessa funzione all'interno della oileuméne umana.
Scambiatevi un sogno di pace ...
Euforismi di Lucio Hassan Siro
Il messaggio del patriarca russo Kirill di fronte alla guerra in Ucraina
Francesco: 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri giornata di preghiera e digiuno per la pace
Il grande valore culturale, prima che politico, di questa chiamata del Papa a raccolta soprattutto i credenti perché dedichino la prima giornata di Quaresima al raccoglimento: "Dio è il Padre di tutti non solo di qualcuno, ci vuole fratelli e non nemici".
"Ho un grande dolore nel cuore per il peggioramento della situazione in Ucraina". Papa Francesco esordisce così il suo ampio appello alla pace che non nasconde forte preoccupazione e rammarico per l'esito, per ora negativo, registrato dai negoziati internazionali. "Nonostante gli sforzi diplomatici delle ultime settimane - osserva - si stanno aprendo scenari sempre più allarmanti. Come me tanta gente nel mondo sta provando angoscia e preoccupazione. Ancora una volta la pace di tutti è minacciata da interessi di parte".
Francesco prosegue: "Vorrei appellarmi a quanti hanno responsabilità politiche perché facciano un serio esame di coscienza davanti a Dio, che è il Dio della pace e non della guerra, il Padre di tutti non solo di qualcuno che ci vuole fratelli e non nemici. Prego tutte le parti coinvolte perché si astengano da ogni azione che provochi ancora più sofferenza alle popolazioni, destabilizzando la convivenza tra le nazioni e screditando il diritto internazionale".
Francesco sa che la politica non basta a cambiare i cuori, solo Dio può farlo, si rivolge quindi a tutti invitando credenti e non credenti ad unirsi in una supplica corale per la pace: "Gesù ci ha insegnato che alla insensatezza diabolica della violenza, si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno. Invito tutti a fare il prossimo 2 marzo, Mercoledì delle Ceneri, una giornata di digiuno per la pace. Incoraggio in modo speciale i credenti perché in quel giorno si dedichino intensamente alla preghiera e al digiuno. La Regina della Pace preservi il mondo dalla follia della guerra".
Da Firenze la risposta dei vescovi di tutta Europa e del Mediterraneo all'invito del Papa
https://www.agensir.it/chiesa/2022/02/23/giornata-di-preghiera-e-digiuno-per-la-pace-da-firenze-la-risposta-dei-vescovi-al-papa/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=la-newsletter-di-agensir-it_2
È questo il grande valore culturale, prima che politico, della giornata di digiuno indetta dal vescovo di Roma per il 2 marzo, mercoledì delle ceneri. La forza dell’azione del papa della fratellanza spazza il campo da voci che volevano il testimone globale della fraternità, valore fondante per il cristianesimo ma anche per l’illuminismo, acquiescente con il Cremlino. Francesco invece rimane il leader morale globale, non è acquiescente con i poteri mondani se prevaricano, senza essere contro alcun popolo, dunque ricrea uno spazio multilaterale e cosmopolita rimasto vuoto per la crisi esistenziale dell’Onu e del pacifismo.
(dalle note di commento di Riccardo Cristiano per "Formiche")
Il nuovo pacifismo segue le sue strade non l’agenda politica
A ogni rumore di cannone riprende vigore la giaculatoria “ma dove sono i pacifisti?”, rilanciata da chi subito chiude le orecchie per non ascoltare la risposta. A costoro, forse, dei pacifisti come delle vittime dei conflitti non interessa nulla, presi come sono dalla vis polemica che serve solo ad affermare se stessi.
Per gli interessati alla risposta ecco alcune tracce per scoprire dove sono e cosa fanno i pacifisti, i disarmisti, i nonviolenti. È ancora forte lo stereotipo del pacifista che se ne sta zitto e buono a casa e poi, quando scoppia un conflitto armato, corre in piazza con la bandiera arcobaleno a protestare e invocare la pace.
1 - L’intensa attività di Rete italiana pace e disarmo evidenzia la capacità di studio, elaborazione e analisi che i pacifisti possono mettere in campo ...
La descrizione dei 4 esempi e l'intero articolo di Valpiana e Vignarca
a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202202/220222valpianavignarca.pdf
Il pacifismo non si ferma mai
La domanda provocatoria è la solita: "dove sono i pacifisti?". La risposta è soprattutto nello sguardo poco attento di chi la pone. Ma, poi, davvero il problema è il numero di manifestazioni?
Per risolvere le crisi serve una politica attenta alle persone (come chiede il disarmo umanitario) e non agli equilibri di potere o ad episodiche foto in piazza.
Il 25 aprile 2014 oltre tredicimila persone, nell'Arena di Verona, hanno detto che oggi la Nonviolenza è la nuova resistenza e il disarmo la nuova liberazione. Da partì il lavoro per arrivare alla Rete italiana Pace e Disarmo, con oltre 60 organizzazioni impegnate ogni giorno per una "pace positiva". Come la Legge di iniziativa popolare per la difesa civile non armata e nonviolenta: oltre 50 mila firme e una proposta di cui aspettiamo la discussione in Parlamento. O come i 45 mila volti italiani per la campagna Control Arms capace di ottenere un Trattato internazionale sul commercio di armi (prima non esistevano regole). O ancora il Trattato di proibizione delle armi nucleari (entrato in vigore a gennaio 2021) voluto dalla nostra campagna Ican, poi Premio Nobel per la Pace 2017.
Esempi che dimostrano come la domanda provocatoria "dove sono i pacifisti?" trovi risposta soprattutto nello sguardo poco attento di chi la pone. Sono stati i pacifisti a preannunciare l'insensatezza dell'intervento militare in Afghanistan (poca invece l'autocritica di chi lo ha voluto) e che la guerra in Libia e Siria avrebbe solo ingigantito una catastrofe. Siamo noi a portare trasparenza sull'export di armi italiane, flusso in continua crescita soprattutto verso le zone "calde" del globo con la benedizione di governi di ogni colore. E grazie a noi nel 2021 (per la prima volta) sono state revocate alcune licenze di vendita verso contesti di conflitto, bloccando così oltre 12.500 bombe che non potranno più uccidere in Yemen. E' stata fermata la guerra? No ...
L'intero intervento su La Stampa di Francesco Vignarca della Rete Italiana Pace e Disarmo a questo link:
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202202/220222vignarca.pdf
Perché la retorica sui giovani ha fatto il suo tempo
Tra i 'facciamolo per i giovani' e gli storici appelli a non essere 'bamboccioni' o 'choosy', l'Italia ha ormai accumulato un profondo deficit di iniziative politiche efficaci per superare le disuguaglianze sociali, e il conflitto generazionale c'entra fino a un certo punto. La vera questione è che nonostante la politica parli dei giovani, difficilmente parla coi giovani.
Uno dei leitmotiv di una classe politica il cui orizzonte temporale arriva al massimo alle prossime elezioni è stato il costante richiamo ai giovani. Frasi come “ce lo chiedono i nostri giovani” o “dobbiamo farlo per le prossime generazioni” hanno trasceso le divisioni politiche e sono diventati una sorta di lessico bipartisan buono per ogni occasione.
Tra "Nessuno pensa ai giovani!" e i "bamboccioni"Un autorevole esempio recente ce lo ha offerto il Presidente del Consiglio Mario Draghi, in occasione del suo discorso di insediamento. Tra molte parole austere, Draghi ha dichiarato che alle future generazioni non dobbiamo lasciare solo una “buona moneta”, ma anche un “buon pianeta”. D’altronde la crisi climatica è forse l’argomento più sentito dai giovani, mentre coloro che oggi dovrebbero compiere le scelte necessarie per contenere l’aumento di temperatura entro i due gradi centigradi non vivranno abbastanza a lungo per vederne, eventualmente, i frutti.
Negli anni passati, invece, parlando di giovani ha trovato spazio nel dibattito pubblico una retorica di segno opposto: quella dei giovani “choosy” dell’ex ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero, o i “bamboccioni” di Padoa-Schioppa. I giovani sarebbero sfaticati e viziati – sdraiati per usare un termine reso celebre da Michele Serra. Attaccati al loro telefono e coccolati, non conoscono i sacrifici del lavoro e della vita.
Interessante che anche il governo attuale, quello del “ce lo chiedono i giovani”, abbia fornito esempi nello stigmatizzare i giovani. Nell’agosto del 2021, per esempio, il Ministro della Transizione Ecologica ha definito i giovani attivisti per il clima degli “idealisti”, incapaci di comprendere la difficoltà nelle scelte per affrontare la crisi climatica. Qualche mese più tardi sempre Cingolani ha chiesto all'attivista Greta Thunberg di non focalizzarsi soltanto sulla protesta, ma anche sulle soluzioni che tecnicamente dovrebbero essere il suo lavoro.
In effetti, queste due narrazioni - quella del “ce lo chiedono i giovani” e quella dei giovani choosy - (schizzinosi verso il mondo del lavoro, ma anche verso le soluzioni pratiche della vita) non sono affatto antitetiche come potrebbe sembrare. Sbocciano entrambe da un atteggiamento paternalista ...
L'intero documentato e interessante servizio di Maria Marasti a questo link:
inMARCIA per la PACE - Sabato 26 febbraio ore 16.00
In momenti come questo si deve fare qualsiasi passo sia possibile per fermare la follia della guerra. Forse non ce la faremo ma avremo costruito un piccolo passo per una maggiore consapevolezza che oggi i conflitti internazionali e tra nazioni non possono più essere affrontati con l'uso della forza militare. La potenza distruttiva degli eserciti rischia di portarci ad una condizione di distruzione irreversibile mettendo a rischio la sopravvivenza del genere umano.
La pace verrà
La pace verrà
Viviamo un momento drammatico della storia umana. Siamo sotto la minaccia dell'inverno nucleare e dell'estate incandescente! La prima provocata da una guerra nucleare e la seconda dalla paurosa crisi ambientale.
Le grandi aziende belliche, Leonardo (ex-Finmeccanica) e Fincantieri (a partecipazione statale) sono in piena attività. L'Italia vende armi a tutti: l'importante è fare affari. Sta perfino vendendo armi all'Egitto del dittatore Al-Sisi: un giro di affari del valore di 9-10 miliardi di dollari (in barba a Giulio Regeni e a Patrick Zaky!). Inoltre il governo italiano sta finanziando sempre più missioni militari con lo pseudonimo di missioni di pace. L'esempio più clamoroso è la missione in Afghanistan: ventanni di guerra a fianco della NATO che ci è costata sette miliardi di dollari e agli alleati tremila miliardi di dollari, per produrre quella vergognosa ritirata (altro che esportare democrazia!). Non contenta, l'Italia ha accettato il comando del contingente NATO in Iraq, dopo che abbiamo distrutto quel paese, con una spaventosa guerra costruita su bugie! Ora l'Italia si sta cimentando con le missioni in Africa. In Niger sta costruendo una base militare con la presenza di oltre duecento militari ed ha inviato soldati in Mali per partecipare alloperazione anti-jihadista Takuba (mentre la Francia si ritira!). Invece di soldati e di armi, la disperata popolazione del Sahel ha bisogno di aiuto per risollevarsi, non di armi. E tutto questo sta avvenendo nell'indifferenza e nel silenzio del popolo italiano. E scandaloso il silenzio del Parlamento davanti a un governo Draghi che investe sempre più in armi e taglia i fondi alla sanità pubblica e alla scuola. In un tale contesto non dovremmo meravigliarci se la crisi Ucraina in Europa o su Taiwan in Asia, potrebbero farci precipitare in una guerra nucleare con la Russia o con la Cina. Basta un incidente ed è la fine. E questa militarizzazione mondiale che ci porterà nel baratro dell'inverno nucleare!
Oggi 20 febbraio, sentirlo dalle sue labbra è diverso
Ha vissuto più di trent’anni con quella popolazione che oggi fa memoria di quel massacro che pesa sulla nostra coscienza come l’oblio più pesante dell’Italia. Padre Giuseppe Cavallini sa bene quanto dobbiamo ancora chiedere perdono per una storia di colonizzazione made in Italy ritenuta da sempre “più buona” delle altre. Oggi, 20 febbraio 1937, veniva dato l’ordine di massacrare la popolazione come rappresaglia per il fallito attentato a Graziani. “In pochi mesi circa 20.000 persone vengono uccise. Due anni dopo allo stesso Graziani il gen. Maletti ordina la «liquidazione completa» di monaci e pellegrini etiopi a Debre Libanos -le stime del massacro oscillano tra 1.400 e 3.000 vittime. Ma ciò che più ci dovrebbe inquietare oggi è che nessuna personalità italiana abbia finora sentito la necessità di portare nemmeno una corona di fiori a Debre Libanos in tanti e tanti viaggi effettuati in Etiopia nella storia repubblicana”. (Andrea Riccardi, 7 marzo 2017)