"Non temere! D'ora in poi catturerai uomini per la vita".
La liturgia in queste domeniche ci ha fatto soffermare prima sull’identità di Gesù, poi su quel suo costante fermarsi in colloquio con il Padre nella preghiera che è prima di tutto ascolto, quindi nel manifestarsi l’autorevolezza del suo insegnamento. In questo modo ha quasi definito un sommario che svilupperà nel corso dell’intero anno liturgico.
Ecco allora che, per Gesù, è venuto il tempo di costituire un gruppo che lo accompagni nel suo ministero di annuncio del Regno già presente e di insegnamento che è la nota di fondo dominante degli inizi della sua vita pubblica, svolto all’interno delle sinagoghe della Giudea. Il suo fino ad ora è stato uno spostarsi solitario e, oggi, vediamo che amplia il suo orizzonte incontrando la folla che fa ressa attorno a lui negli ampi spazi aperti della riva del lago di Galilea. Qui Luca sottilmente per la prima volta afferma che la folla gli si fa attorno, non per ascoltare quello che Gesù avrebbe detto, ma “per ascoltare la Parola di Dio”.
Mentre raccontando del Battista aveva detto che “la Parola di Dio cadde su Giovanni” (Lc 3,2) e, questo evento lo costituì come “profeta”, qui Luca esplicita che dalla bocca di Gesù non escono parole sue, quello che lui pensa e nemmeno che Gesù è lo strumento del Padre per parlare agli uomini come accadde con il Precursore e tutti i profeti.
Gesù non parla a nome di Dio, Gesù è la Parola di Dio. Lo è perché il suo insegnamento non consiste solo in discorsi, ma contemporaneamente è composto anche da azioni, da atti che confermano quanto dice e che le sue parole spiegano: Gesù vive quanto afferma. Per questo Luca può dire che non solo “dice” ma “è” la Parola di Dio perché questa è immediatamente efficace e produce quanto asserisce. Il termine ebraico “davar” significa contemporaneamente “parola” e “cosa” o, più precisamente, una “struttura ordinata”. In Genesi “Dio disse sia la luce e la luce fu”, la creazione è quell’azione di Dio che “mette ordine” nel caos primordiale e rende vivibile, “molto buona” una realtà prima senza significato e priva del suo amore.
Ricordiamo che Gesù dopo aver letto la profezia di Isaia, ha affermato che quella parola aveva “ora” avuto il suo “compimento” nella misura nella quale quella ci coinvolgeva, nella quale noi ci saremmo lasciati coinvolgere. Dio non impone mai nulla, il suo è un appello, chiede che ci coinvolgiamo nella sua azione, che ne diventiamo corresponsabili, che camminiamo assieme a lui (= sinodo).
Questo ha percepito la folla che ora si accalca attorno a lui tanto da costringerlo a guardarsi attorno per cercare come riuscire a parlare a tutti e, Luca, descrive vivacemente la scena: due barche ormeggiate, forse tirate in secca dopo una notte di lavoro inutile e i pescatori che stanno rassettando le reti, stanchi, senza pescato, senza ciò che dava loro gioia e da vivere. Accasciati, ripiegati sulla loro delusione ma che accolgono l’invito a rispingerne una in acqua perché Gesù possa insegnare. Nulla, nessuna competenza qualifica Gesù, una volta terminato di parlare, a invitare Simone a gettare nuovamente le reti in acqua ma lui obbedisce perché ha capito che la parola di Gesù è Parola di Dio: “Capo (e non “maestro” significa la parola greca usata da Luca), sulla tua parola detterò le reti”, un “capo” al quale si obbedisce consapevolmente, coinvolgendosi nel suo agire.
Simone e chi era con lui “presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano”, correvano il rischio di rompersi e con un cenno chiamarono in aiuto la seconda barca. Le due barche talmente piene di pesci fino all’orlo tanto quasi da affondare, possono essere l’immagine delle due comunità cristiane presenti all’epoca in un cammino affiancato: quella di lingua ebraica e quella di lingua greca.
Simone e i suoi soci, i figli di Zebedeo, si gettano ai piedi di Gesù riconoscendosi peccatori. Ma lui è venuto proprio per i peccatori. I giusti, in quanto tali, non avevano bisogno di lui. Per questo il Signore dice: “Non temere! D’ora in poi sono – traducendo letteralmente - degli uomini vivi che tu prenderai” (Marco e Matteo usano invece l’espressione “pescatori di uomini”).
Il verbo greco usato da Luca è composto da due parole che letteralmente significa “catturare per la vita”, per trasmettere loro la vita tirandoli fuori dal mare del male, del peccato, delle potenze demoniache mortifere, per farli vivere con Lui, nell’amore del Padre.
Per questo “lasciarono tutto e lo seguirono”. Hanno compreso il suo commento al passo di Isaia, si lasciano coinvolgere nella missione itinerante di un Gesù che passa facendo del bene, che è sempre una sorpresa continua, che non si lascia mai definire, chiudere nei nostri schemi, nelle nostre reti strappate.
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