Indicazioni esigenti quelle che Gesù offre per essere "alberi buoni". Ma non sono una legge sanzionata se non vissuta in pienezza. Sono invece una bussola, una indicazione sulla quale camminare, per saper continuamente scegliere quale tra le due vie scegliere
Con questa domenica si termina la lettura continua del Discorso della pianura iniziato tre domeniche fa e pure si conclude questo periodo liturgico nel quale ci è stato presentato il “programma” di Gesù: mercoledì, si inizierà il cammino verso la Pasqua, il centro di ogni anno liturgico. Da questa si dipanano tutti gli altri percorsi che invitano alla sequela e alla comprensione del messaggio del Signore seguendo, quest’anno, il particolare punto di vista di S. Luca.
A questo evangelista non interessa, come invece a Matteo, fare polemiche con i farisei e usa i medesimi esempi di Gesù che sono nell’Evangelo di oggi, per insistere sulla formazione dei discepoli, perché possano giungere ad essere come il loro Signore. Questo è uno dei suoi scopi principali.
Non per nulla tutto rimane sotto quel “A voi che ascoltate dico…” che Pietro interpreta, non semplicemente assecondando l’invito assurdo di gettare nuovamente le reti in pieno giorno, ma fidandosi, abbandonandosi alla sua Parola. È questo che lo porta, a sua volta, a diventare capace di “catture uomini per la vita”. Per riuscirci, è necessario lasciare le progettualità basate esclusivamente sulle proprie esigenze personali e lasciarsi coinvolgere nella missione di Gesù che passa tra gli uomini guardando i loro bisogni, le loro domande di senso e rispondendo con fatti concreti. È per questo che rende il suo vivere è una sorpresa continua impossibile da definire, da rinchiudere in uno schema già conosciuto, che “strappa” le nostre reti. È una sorpresa continua perché, se l’attenzione è sull’altro, non c’è mai nessuna persona uguale ad un’altra e, quindi, la risposta non potrà mai essere la stessa, avrà sempre almeno delle sfumature diverse e, in questo, sorprendenti.
Nel brano di oggi Gesù continua a dare istruzioni attraverso esempi concreti di vita, mettendo in scena sempre due realtà: due ciechi, un discepolo e il suo maestro, un uomo e suo fratello, un albero buono e uno “guasto”, frutti pregiati e rovi, un uomo buono e uno cattivo.
Continua così la proposta incontrata all’inizio del Discorso della pianura, che si è sviluppata nella diade tra le beatitudini e i lamenti, a dirci che siamo continuamente posti difronte a due vie tra le quali scegliere. È questo un tema che attraversa come un filo rosso l’intera Scrittura. Lo possiamo toccare con mano ed esemplare chiarezza per esempio nel capitolo 30 del Deuteronomio: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male …”.
Le due vie sono state anche subito al centro dell’insegnamento della Chiesa nascente, come testimonia la Didachè e che corrispondono alla “porta stretta” dalla quale siamo invitati ad entrare, facendo attenzione che il sovrappiù di grazia che Dio ci donerà, andrà nella stessa direzione con la quale ci saremo fatti strumenti della sua misericordia. Questa affermazione chiudeva l’Evangelo di domenica scorsa annunciando anche che alla fine “una buona misura, pigiata, scossa e traboccante ci sarà versata in grembo”, cioè di inaspettata e non calcolabile abbondanza.
Ma come non essere ciechi? Cosa garantisce che il nostro operare è sulla scia dell’agire di Gesù? Come riconoscere se il nostro procedere produce “frutti buoni”? se questi si vedranno dopo, al momento del raccolto che, molto probabilmente, non sarà nemmeno opera nostra? Il nostro compito è quello della semina: ma seminiamo grano o gramigna?
Luca ci presenta alcune condizioni per essere un “albero buono”. La prima è l’esigenza di una formazione o di una preparazione che non ha nulla di intellettuale, ma che è essenzialmente “sequela”, imparando a vivere come lui per poter giungere a dire, come fa S. Paolo, di essere “con-formati” a lui tanto da non essere “più io che vivo ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
La seconda condizione è l’essere coerenti tra quello che diciamo e quello che facciamo. L’esempio proposto da Gesù è quello della pagliuzza e della trave, che ripropone in altri termini quel “non giudicate” ma “per-donate”, siate cioè dono per gli altri o, meglio, siate capaci di essere lo strumento della capacità di Dio di essere con il cuore di chi soffre o sbaglia.
La terza viene illustrata da esempi sugli alberi: uno buono e uno cattivo. Questo però non desidera invitare ad una lettura morale o, peggio, moralistica: solo Dio è buono e, infatti, il termine greco usato è kalos, che significa “bello”. È il medesimo aggettivo adoperato, per esempio, nel definire il “buon pastore” e lo è perché “dà la propria vita per le pecore”: quello che qui interessa è dunque l’agire.
L’albero “buono” è quello che offre buoni frutti; i “maestri” (e i discepoli saranno presto chiamati ad esserlo …) sono “buoni” se i loro frutti lo sono e lo saranno. I loro insegnamenti guidano coloro che gli sono stati affidati all’ascolto del Signore per mettere in pratica le sue parole, oppure li hanno portati a dipendere dai loro discorsi? I primi sono frutti “buoni”, i secondi no. I primi saranno stati maestri (alberi) buoni, gli altri no.
Ma c’è un’altra cartina di tornasole che può essere usata. È il come si parla, perché fa trasparire quale sia il cuore di chi si esprime. L’agire e il parlare non possono essere disgiunti; se lo sono attenzione perché qualcosa non torna …
La liturgia in questo cammino con l’Evangelo di Luca ci ha presentato, oltre l’identità di Gesù, un primo approfondimento catechetico basato sul modello delle “due vie”, sostenuto dal tema fondamentale della coerenza tra il dire ed il fare nell’amore verso tutti, anche verso i nemici. Questo caratterizza i seguaci del Signore anche oggi. Non è facile ed è per questo che prima di tutto Luca ci rassicura garantendoci che la misericordia del Padre precede ogni cosa. Le indicazioni che Gesù ha dato, non sono una legge sanzionata se non vissuta in pienezza. Sono invece una bussola, una indicazione sulla quale camminare. I cristiani non sono e non saranno mai giunti a realizzare pienamente gli obiettivi dati, l’importante però è che siano e rimangano coerentemente in cammino sulla via, quella buona, scelta tra le due prospettate. In fin dei conti, per loro vale sempre la prima definizione con la quale sono stati chiamati: quelli della via
(BiGio)
Riflessione molto dettagliata. Grazie perché essere portatori di buoni frutti può realizzarsi attingendo continuamente alla Parola, alla preghiera e al confronto con i fratelli. La sequela non è mai solo una decisione fatta una volta, ma sempre rinnovata, verificata e nutrita. Per non essere guide cieche, cuore cattivo, maestri di noi stessi. Grazie
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