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Mentre eravamo nemici

Come giungere ad amare il nemico? Occorre un lavoro su di sé assai articolato. Questo lavoro comporta anzitutto il rinunciare alla vendetta, al rendere male per male (cf. Rm 12,14-21). Quindi occorre riconoscere che si sta soffrendo la situazione di inimicizia e riconoscere la collera che ci abita e che si manifesta in discorsi e pensieri interiori contro colui che si è fatto nostro nemico. La collera è anche rivelazione di noi, non solo denuncia dell’altro. Ascoltarla ci aiuta a leggerci e a cogliere le nostre zone di maggiore vulnerabilità e può aiutare il faticoso percorso verso la comprensione dell’altro e della sua inimicizia. Comprensione che non significa giustificazione, ma cambiamento del nostro sguardo su di lui. Questa base di lotta e dialogo interiore, di fatica e sofferenza profonde, costituisce il fondamento dell’amore per il nemico.

 

Il comando di amare il nemico ci immerge nella dimensione ossimorica della fede cristiana. Anzitutto rendendo l’amore oggetto di comando. È possibile comandare l’amore? Nella Bibbia il comando che Dio dà all’uomo non è solo “ordine”, ma anche rivelazione di una possibilità. Prima di dire “tu devi”, il comando dice “tu puoi”. Anzi, si fonda sul “tu puoi”. Dunque, mentre chiede fiducia in colui da cui viene il comando, sollecita anche fiducia in sé da parte di colui che tale comando riceve. Il comando può svegliare l’uomo a capacità, possibilità e risorse di cui egli non era cosciente. Anzi che egli nemmeno immaginava …

 

Il comando non si pone sul piano sentimentale, non ordina di provare sentimenti di affetto per chi ci odia: esso si pone su un piano operativo, concreto, effettivo ben più che affettivo, e indica azioni concrete da mettere in atto e comportamenti da assumere …

 

Com’è possibile amare il nemico? Anzitutto, ricordando che il nemico è sempre un essere umano, dunque un fratello. “Un uomo, qualunque cosa ti faccia, è un fratello” (Giovanni Crisostomo); il nemico che mi fa del male è un fratello che il male ha allontanato da me e ha allontanato anche dalla sua umanità …

 

Come giungere ad amare il nemico? Occorre un lavoro su di sé assai articolato. Questo lavoro comporta anzitutto il rinunciare alla vendetta, al rendere male per male (cf. Rm 12,14-21). Quindi occorre riconoscere che si sta soffrendo la situazione di inimicizia e riconoscere la collerache ci abita e che si manifesta in discorsi e pensieri interiori contro colui che si è fatto nostro nemico. La collera è anche rivelazione di noi, non solo denuncia dell’altro. Ascoltarla ci aiuta a leggerci e a cogliere le nostre zone di maggiore vulnerabilità …

L’amore che il cristiano riesce ad avere verso il suo nemico è grazia, è dono di Dio, è amore di Dio in lui. Non a caso, il testo evangelico per tre volte afferma essere una grazia (cháris), più che un merito, l’andare oltre le misure umane di reciprocità e corrispondenza (cf. Lc 6,32.33.34; la Bibbia CEI traduce: “quale gratitudine vi è dovuta?”).

Il discorso evangelico sull’inimicizia ha anche una dimensione ecclesiologica importante: la chiesa, se vive la radicalità evangelica, conosce certamente persecuzioni e inimicizie a causa del Nome di Cristo; ma la stessa radicalità evangelica impedisce alla chiesa di fabbricarsi dei nemici, di dar nome di nemico ad “altri”, a categorie di persone o a gruppi umani che semplicemente sono segnati da diversità di religione, di cultura, di costumi etici, o di modo di vivere la stessa fede cristiana. Sempre infatti la creazione del nemico è il prodotto della trasformazione di un’alterità parziale in alterità assoluta. L’alterità come occasione di comunione e non di inimicizia: questa la sfida che dal comando di amare il nemico viene alla chiesa di ogni tempo.

(Luciano Manicardi)


 

 Vale la pena di leggere interamente la riflessione di Luciani Manicardi a questo link:


https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/14971-mentre-eravamo-nemici


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