A distanza di un anno dal colpo di stato in Myanmar una lettera aperta da un missionario che vive in quella terra chiede con struggente forza e mitezza di "parlare di questo popolo", affinché "un popolo così bello non cada nel nostro silenzio".
Il popolo del Myanmar sa vivere nel silenzio: ne ha fatto una spiritualità, e nel silenzio del proprio dolore trova la forza di tenere lontana la violenza e gli abusi con cui vogliono essere imprigionati e violentati.
"Nel nostro silenzio vinciamo sempre", questo è quanto mi ha detto un mamma che vive con noi, esiste la quotidianità della generosità e della cura reciproca, della fiducia che l'altro non mi sarà nemico, ma amico, che ci proteggeremo a vicenda, e che in questo proteggersi accoglieremo i rischi, ma anche tutto il bene, di vivere l'uno per l'altro.
Il popolo del Myanmar, nel suo silenzio, sa abitare il dolore. Guardo a questo popolo con un senso di ammirazione e rispetto che non avevo mai provato prima in vita mia. E’ un popolo che attira affetto, che non può che farsi amare.
Penso a questo popolo come al popolo delle Beatitudini.
Beati i poveri in spirito, e beato il popolo del Myanmar che nella sua impotenza davanti al male, sa che il suo cuore è una forza inviolabile, impenetrabile.
Beati quelli che sono nel pianto, e beato il popolo del Myanmar che nelle sue famiglie spaccate e divise dalla violenza, piange per "irrigare il suo futuro", per dare gioia ai figli e alle figlie di una terra che piange come un gesto di intimità con la propria storia.
Beati i miti, e beato il popolo del Myanmar che non alza la voce, che guarda alla morte con la stessa tenerezza con cui si guarda una sorella amata, da sempre vicina, la sorella più fedele, quella che fino ad ora non ha ancora tradito alcuna delle proprie promesse.
Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, e beato il popolo del Myanmar che sa bene che la giustizia non è un diritto ereditato dalla storia, ma un cammino difficile e doloroso, una scelta di vita per la quale bisogna essere disposti anche a morire.
Beati i misericordiosi, e beato il popolo del Myanmar, che non chiede vendetta, non la desidera e non la stima, ma chiede solo di poter vivere nella pace e di essere lasciato nella pace.
Beati i puri di cuore, e beato il popolo del Myanmar, con cui è bello vivere, e da cui imparo cosa sia il perdono, da cui imparo cosa sia la gioia delle cose semplici, da cui imparo cosa sia la pazienza, cosa sia l'amore che tutto copre, e con cui sto scoprendo cosa sia la felicità!
Beati gli operatori di pace, e beato il popolo del Myanmar, perché dal proprio sangue ha imparato a fare la pace, ha imparato a desiderarla per tutti, e beato il popolo del Myanmar perché ogni giorno non prega solo per la pace per sé, ma prega per la pace dei popoli, per la pace dell'umanità, perché la pace è bella.
Beati i perseguitati per la giustizia, e beato il popolo del Myanmar, perchè in questa persecuzione impara l'unità, vive la generosità, insegna la perfetta letizia.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male, e beato il popolo del Myanmar che sa sperare nel bene, che sa parlare il vocabolario del Regno dei Cieli. Beato il popolo del Myanmar che sa parlare di amore, e quando ne parla dice la verità. Sa parlare di riconciliazione, e quando ne parla dice la verità. Sa parlare di fedeltà, e quando ne parla dice la verità.
L'intera lettera a questo link:
https://leggerexvivere.blogspot.com/2022/02/parla-di-questo-popolo-del-myanmar.html
Nessun commento:
Posta un commento