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Il bivio e il "brivido" di Putin: invadere l’Ucraina o provare a vincere senza combattere

Fra poche ore sapremo se l’intelligence americana avrà fatto il colpo del secolo,datando l’aggressione di Mosca, oppure no. Il problema, per Washington, è che sarà Putin a deciderlo. Biden gli ha alzato la palla, a lui schiacciarla dove meglio crede.

I casi sono due. 

1 - L’autocrate del Cremlino è un pazzo suicida e quindi marcerà su Kiev. Così si scaverà la fossa. Non solo l’Armata russa s’esporrà bersaglio perfetto alla guerriglia nazionalista ucraina, sostenuta ed equipaggiata da americani, britannici, polacchi e baltici. Soprattutto, l’opinione pubblica russa non apprezzerà l’aggressione a un popolo comunque intimo, se non fratello. Un russo su tre ha parenti ucraini. Sommando questi fattori alla rappresaglia atlantica, il rischio per Putin è di aprire la crisi finale sua e del suo regime. Morire per Kiev?

 

2 - Oppure il presidente russo conserva l’uso della ragione. Dunque manterrà la pressione sull’Ucraina finché non sarà sicuro di aver raggiunto lo scopo: riportare quella strategica marca nella sfera d’influenza del suo impero. Putin non vuole passare alla storia come lo zar che perse l’Ucraina. Ma sa che per recuperare Kiev deve prima neutralizzarla, inchiodandola nella terra di nessuno fra sé e la Nato. Per poi riassorbirla, almeno in parte, una volta che gli ucraini si saranno resi conto che l’Occidente non intende morire per loro. Nel frattempo, Mosca vorrà approfondire le faglie nello schieramento atlantico, insanabili perché determinate dalle differenze di interessi e di memorie storiche dei suoi soci. Senza sparare un colpo, o quasi.

 

La prima opzione non si può escludere a priori. Anche i leader più scaltri commettono errori fatali, sotto pressione. Oppure qualcuno nelle Forze armate disobbedirà agli ordini o cadrà in una provocazione scatenando un incidente che obbligherà Putin all’offensiva. Contrariamente al cliché, l’autocrate non è onnipotente. Il suo Stato profondo può giocargli brutti scherzi. È lui stesso a confessare che l’80% dei suoi ordini non viene eseguito.

 

La seconda ipotesi è invece svolgimento logico del piano russo. Putin vuole portare la Russia in un nuovo concerto europeo fondato sull’equilibrio delle potenze, sovvertendo il primato americano codificato nella Nato. Congresso di Vienna 2.0. Il suo modello è Alessandro I. La neutralizzazione dell’Ucraina e l’assorbimento della Bielorussia ne sono precondizione, non fini in sé. Minsk è già tornata a casa. Successo tutt’altro che secondario. Per Kiev, ammesso sia possibile, ci vorrà molto più tempo, ma Mosca non è disposta a rinunciarvi. Né ha tanta fretta da imbarcarsi in un’offensiva controproducente.


L’attacco vecchio stile con bombardamenti, carri armati e stragi di civili porterebbe forse a un provvisorio successo militare, cui seguirebbe certamente la sconfitta strategica.


Finora Putin ha potuto contare su un alleato certo involontario, non inatteso: Biden. Gaffe a parte, colpisce come l’approccio del leader americano e dei suoi apparati alla crisi, sempre reattivo, spesso contraddittorio, abbia contribuito alla destabilizzazione dell’Ucraina. Cioè allo scopo di Putin.


(Lucio Caracciolo - Limes)

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