Mentre risuonano, come sempre, venti di guerra e si diffondono ovunque parole che dividono e contrappongono, la vita è scossa e liberata da un comando che già conosciamo. Davanti al male e ai nemici, davanti alla lotta e alla guerra, davanti alla violenza e al sopruso, davanti all’odio che incontriamo ovunque, non ci è stata promessa la certezza di uscirne illesi, di superare l’ostacolo, di vincere su chi ci vuol male. Ci è stata data solo una parola, la più alta e la più sconosciuta, quella a cui si ribella la vita, perché suscita sdegno e grida ingiustizia. Amate!
Già suona strano che l’amore sia comandato. Suona strano perché confondiamo l’amore con il nostro sentire. È vero, non siamo padroni di ciò che sentiamo e proviamo. Ma amare è questione di scelta e di decisione. Amare è agire e fare qualcosa. Amare i nemici è sanare l’odio che sento, è curare il rancore che mi tiene schiavo. È la decisione di amare che libera ed educa il cuore, rinnova e purifica i sentimenti. Se scelgo di amare, mi ribello ai sentimenti che non posso scegliere, mi libero da ciò che mi rende schiavo.
Gesù va oltre, esige l’offerta di una nuova guancia, terreno sul quale sia sfogato il dolore, chiede di non rifiutare il mantello e di dare tutto a chi pretende qualcosa. Sembra che queste parole siano il manifesto dell’ingiustizia, la rottura di ogni equilibrio, il capovolgimento di ogni contratto sociale. Non sono parole di buon senso. Non soddisfano la voglia di riscatto di chi si sente umiliato. Non prevedono liberazioni e rivolte. Non assecondano i desideri di rivalsa e di vendetta. Non instaurano giustizie nostrane.
Amare i nemici, fare del bene a chi ci odia, benedire chi ci maledice e pregare per chi ci maltratta non è assecondare il male, non è rassegnarsi al fatto che nulla possa più cambiare. È, invece, innestare, in una storia perversa, il germoglio di una storia nuova, il principio di una liberazione vera dal male che può nascere solo nel proprio cuore, che inizia sempre in un cuore ferito.
Amare i nemici è sentire che il male dell’altro vive anche in me, che anch’io rischio di diventare malvagio. Anch’io, a volte, ne ho voglia, forse mi manca solo il coraggio.
Ci piace troppo giudicare e condannare. Ci piace farlo a tutti i livelli. Siamo giudici inflessibili dei mali del mondo, soprattutto di quelli che, di giorno in giorno, sono più popolari. È bello condannare e chiamare in giudizio. Ci fa sentire migliori e al di sopra. Ci fa sentire giusti.
Amare, invece, è accogliere la propria ingiustizia, riconoscere la propria in quella degli altri. Amare è sentirsi fratelli, in cammino su una terra difficile dove per tutti è facile cadere e inciampare, far male e farsi male. Amare è provare misericordia, sentire nel cuore le proprie miserie e vedere in queste anche quelle degli altri.
Non siamo figli della giustizia, della bilancia precisa con la quale misuriamo le colpe dell’altro. Siamo figli dell’Altissimo e siamo chiamati ad assomigliarli. Egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi. Questo Padre è un Dio che dà scandalo, perché ingiusto per le logiche umane e io e il mio nemico siamo insieme nel suo pensiero, siamo fratelli nel suo cuore di Padre.
(dalla riflessione di Marco Manco)
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