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VI PA – Lc 6,17.20-26

L'essere "beati" viene normalmente inteso come una situazione di estatica serenità. 
Non così per l'Evangelo per il quale invece significa: 
"Su, coraggio, in marcia voi che siete in difficoltà, non rimanete ripiegati su di voi stessi!"
altrimenti: "Poveri voi!"


Nella Sinagoga Gesù aveva proclamato che “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi”, affermando che è stato “mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi”.
Questo annuncio aveva diviso chi lo aveva ascoltato e la reazione era stata quella di cercare di farlo cadere dal “ciglio del monte sul quale la loro città era situata”. Ma Gesù, “passando in mezzo a loro, se ne andò”.

La scorsa settimana lo abbiamo visto assieme a dei pescatori stanchi, sfiduciati che stavano rassettando le reti dopo una notte di inutile lavoro, chiedere loro di prendere il largo sul mare di Galilea e di calare nuovamente le reti. Pietro, senza troppa convinzione, aderisce al suo invito: “sulla tua parola getterò le reti”. La pesca fu più che abbondante: “lasciarono tutto e lo seguirono”.

Si sa che il mare simboleggia l’inconscio, è abitato da forze sconosciute e pericolose, è fluido, non è stabile, si sprofonda in esso. Su questa realtà che spesso è quella esistenziale di ciascun uomo nella quale è facile rimanere sconcertati, è forte la tentazione di rinchiudersi a riccio per difendersi. Gesù invita, seppur sconfortati, a non rimanere ripiegati su sé stessi ma, nonostante tutto, di avere il coraggio di riprendere in mano la propria vita, di navigarci sopra e, prendendo il largo, di seguirlo. Allora si scoprirà che, anche in quel difficile “mare”, si trovano molti pesci, molte cose utili e buone; basta avere lo sguardo giusto, il suo sguardo che normalmente non è il nostro. Se fosse per noi affaticati e sfiduciati, lasceremmo le reti a terra e rientreremmo in casa in cerca di una tranquillità che non troveremo. Più facile al suo posto incontrare l’angoscia del fallimento.

L’invito che fa Gesù è quello di non arrendersi all’evidenza perché anche in una realtà che possiamo percepire ostile, lui ha seminato germogli di risurrezione e, in mezzo alla gramigna, stanno crescendo. Sta a noi riconoscerli e valorizzarli: è quella Chiesa in uscita che papa Francesco invoca e chiede con insistenza.

 

A questo punto si può allora comprendere come André Chouraqui (biblista, scrittore e filosofo franco-israeliano, ebreo algerino di origine, che si sentiva "cittadino del Mediterraneo", sempre tenacemente impegnato nella promozione del dialogo interreligioso tra Ebraismo, Islam e Cristianesimo), partendo dalla radice ebraica ‘asar che contiene l’idea del camminare, traduce quel “beati” con un sorprendente “In marcia! voi poveri, in marcia! voi che ora avete fame, in marcia! voi che ora piangete, continuate a camminare! anche quando vi perseguiteranno”.

È quel passare in mezzo a noi di Gesù anche quando lo rifiutiamo, è quel suo invito a risalire nella barca della nostra vita, a prendere il largo, a gettare le reti sempre nuovamente senza stancarci. Felice (è un’altra traduzione possibile del greco makàrioi, “beati”), è allora quella persona che si mantiene in cammino, che è in un atteggiamento costante di ricerca su ciò che veramente è essenziale nella vita. Essere felice vuol dire "stare in marcia", continuare a camminare. Mentre è triste vedere persone accomodate, come ferme sul ciglio della strada, immagine di coloro che si aggrappano alle sicurezze del denaro da loro accumulato, che confidano solo nei beni da loro conquistati, oppure si adattano alla cultura dominante senza mai rischiare di andare controcorrente, adeguandosi alle mode e alle tendenze del momento presente.

Guai a voi! Nel senso di poveri voi! (è un’altra traduzione possibile) se siete così ripiegati su voi stessi a difendere dei presunti privilegi

Le parole di Gesù si posano anche oggi su dei volti ben precisi, su uomini e donne in carne ed ossa. Nel greco usato da Luca, la parola povero indica colui che è rannicchiato di fronte a Dio e la parola ricco colui che è pieno di sé: quando uno è così, in lui non c’è posto per il Signore. Questo viene richiamato anche da Geremia nella prima lettura di oggi: "Maledetto chi confida nell'uomo; benedetto chi confida nel Signore" e paragona i due rispettivamente a un tamerisco che cresce stentato in terra arida, e un albero piantato vicino a un fiume, verso il quale protende le sue radici. 

Anche il Salmo ce lo ricorda: “Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. È come un albero piantato lungo corsi d'acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. Non così, non così i malvagi, sono come pula che il vento disperde; poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina”.

(BiGio)



 

 



 

1 commento:

  1. In marcia voi.... Non avevo mai sentito questa traduzione. Molto interessante e utile perché da un lato sprona a non arrendersi, dall'altro dà un senso al tempo di difficoltà o tentazione, un invito a sentire il Signore accanto e restare fiduciosi

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