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La crisi di fede e la fatica a vivere nel nostro tempo

I temi sono veramente tanti e profondi, decisivi almeno nell’interrogarsi sulla nostra fede, quasi echeggiando una domanda assai dura di Gesù: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». È una domanda – posta a seguito della parabola della vedova insistente – che dovremmo prendere sul serio, in tutta la sua lucida e aperta possibilità, perché non presuppone una risposta accomodante: esiste, infatti, l’ipotesi che la fede diminuisca fino a esaurirsi nel tempo, perché è una delle eventualità della libertà umana.


Se abbiamo la lealtà di osservare la vita delle nostre comunità, vediamo che sotto il molto arrabattarsi, sotto il denunciare l’assenza dei giovani, la crisi delle famiglie, l’eclisse della partecipazione sacramentale e liturgica, il tracollo delle vocazioni consacrate, il tramonto della cultura cattolica, la confusione etica e sociale, c’è lo smarrimento di quanti non riescono a declinare in modo positivo, eloquente ed equilibrato la fiducia in Gesù nel momento che viviamo; c’è la paura di chi intuisce che tutte le categorie sono venute meno (a partire da quella di ‘Dio’ o da quella di ‘fede’, ad esempio); c’è l’impossibilità ad ammettere che forse l’uomo occidentale non ha più nemmeno le domande di senso; c’è la superficialità nel continuare a usare il ‘Dio tappabuchi’, ponendolo così ai margini o nelle situazioni estreme del dolore e della morte, impedendo (Bonhoeffer docet) che Egli sia al centro della vita, anche nel valore performativo che la fede può assumere, lontano però dai perfezionismi, dai moralismi stantii. E ancora, c’è il terrore di dire che strutture e devozioni, riti e attività ormai non dicono niente della fede, ma solo alla religione di pochi, e così facendo dimostrano che essa è superflua.
Di fronte a ciò, se non si cade nell’indifferenza, si inciampa nel già noto, continuamente riproponendo ricette vecchie e rassicuranti, ripetendo parole d’ordine, iniziative, perfino griglie ermeneutiche di metà Novecento, in un’eterna dialettica che non coglie, non capisce, non approfondisce il momento presente e genera smarrimento, in uno sforzo destinato alla frustrazione.

Se guardiamo ai secoli che ci hanno preceduti, troveremo che tutte le comunità fondate dall’apostolo Paolo sono di fatto sparite. Eppure la fede in Cristo non è morta. Forse tramonterà la fede nell’Occidente che si è avvicinato ad altre forme di culto (il consumismo, ad esempio); forse sorgerà, sulle lacrime e le fatiche e gli smarrimenti di molti, una nuova forma storica di fede. Certo, è doloroso perdere la nostra forma storica, a cui siamo grati e di cui riconosciamo pregi e difetti; è un atto di spoliazione, di vera croce. Ma è la dinamica kenotica, la quale è essenziale alla fede cristiana.

Forse, oggi, dobbiamo vivere ....



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