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SS. Trinità: Gv 16,12-15

Un'altra catena di tre verbi: guidare, esprimere, comunicare (nel senso di "ripetere"). Una collana di tre perle infilate una sull'altra in un ordine non casuale, che ci aiuta a portare il peso della partecipazione alla Gloria del Padre, del Figlio con lo Spirito Santo.
Una chiamata ad essere relazione senza alcuna piramidalità, cioè "sinodali".

Giunti con la Pentecoste a compimento della Festa di Pasqua, la liturgia come al solito ci introduce nel Tempo Ordinario con due feste: la SS. Trinità e il Corpus Domini. Potrebbe sorprendere ma la sapienza della Chiesa, al termine di ogni periodo liturgico, sente la necessità di proporre una sintesi del messaggio fin qui sviluppato e una premessa per comprendere tutto quello che saremo chiamati a celebrare fino alla ricorrenza della regalità universale di Cristo nell’ultima domenica dell’anno liturgico.

Perché questa necessità? Forse va cercata in quello che il Signore dice a Mosè sul Sinài: “Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice” (Es 32,9). Quindi ripetere fa sempre bene, in particolare per chi come si dice a Roma “è de coccio”.

In effetti dobbiamo riconoscerlo, di domenica in domenica gli Evangeli si susseguono ma raramente riusciamo a cogliere che non sono proposti a caso, che uno non vale quell’altro, che non è indifferente leggerne prima uno o un altro. Anche se raramente ci viene suggerito, c’è invece un preciso itinerario di progressivo approfondimento del messaggio che Gesù e la sua vita ci hanno lasciato e ci chiedono di rendere attuale proseguendolo. È per questo che quasi sempre negli approfondimenti proposti in questo Blog, c’è una sottolineatura in merito che recupera e sottolinea il cammino che la liturgia ci propone. 

 

Durante il tempo pasquale la presa di coscienza che Gesù è Risorto, è stata caratterizzata principalmente da due temi: il dono della pace come Shalom e quello dell’amore che precede l’osservanza della Parola e che, anzi, ci rende Parola. Pace e amore intimamene inseriti in una stretta relazione tra il Signore e noi ci rende fratelli e, quindi, comunità capace di continuare quello che lui ha fatto nell’accoglienza e nell’annuncio della misericordia del Padre.

I 4 versetti dell’Evangelo di oggi ci vengono allora proposti per riassumere l’annuncio che ci è stato fatto fino a tutto il periodo pasquale, a quale coscienza ha desiderato guidarci, a quale futuro ci apre.

Gesù annuncia ai suoi che ha ancora molte cose da dire ma, quando lui non sarà più con loro, verrà lo Spirito a guidarli verso l’intera verità, esprimendo ciò che avrà udito e comunicando la sua gloria. Giovanni, come ci ha abituato, lega e sintetizza il messaggio attraverso una collana di tre verbi.

Guidare. Un desiderio attraversa l’intera Scrittura: riuscire a camminare sempre sulla via del Signore per avere la vita. Lo riassume bene il salmo 24 che esprime quasi un grido di supplica: “Conducimi verso la verità”. Questo cammino, a partire dall’uscita dall’Egitto da subito è stato compreso come guidato dallo Spirito di Jhwh: “Lo Spirito discese da parte del Signore e li guidò” (Is 63,14) e continuò a farlo nel percorso verso la Terra promessa come colonna di fuoco che li ha guidati nel deserto.

Esprimere. Per guidarci verso la verità, lo Spirito parlerà o, meglio, esprimerà ciò che ha udito dal Figlio allo stesso modo con il quale Gesù ha annunciato ciò che ha appreso dal Padre (Gv 5,19; 8,28). Il verbo greco (ripetuto tre volte di seguito) sottolinea che quello che ci comunicherà è una “ripetizione”, anche quando annuncerà ciò che sta per avvenire, le “cose future”. Non si tratta allora della predizione di alcun futuro, piuttosto del fatto che ci darà la possibilità di leggere la nostra storia, la nostra vita quotidiana alla luce del dono fattoci da Gesù: poter partecipare alla Vita (eterna) che lega il Padre e il Figlio ed essere così “una cosa sola” con loro a partire già dal nostro oggi e che troviamo così affermato in Gv 3,16 e 17,22.

È a questa verità che ci guiderà lo Spirito e, se teniamo presente che il termine ebraico per dire la “gloria” (kabōd) significa qualcosa di pesante come un mantello (la lingua ebraica, che non ha i nostri “concetti”, li esprime sempre con aggettivi “quantitativi”), ecco che si comprende quel “per ora non siete capaci di portarne il peso”. I discepoli non potevano portarne il peso perché non era ancora disceso lo Spirito che ci guida rendendoci capaci di comprendere pienamente il dono fattoci da Gesù.

 

Tutto è un chiaro invito a portare il peso assieme di un cammino fatto in una comunione che ci rende partecipi della Vita stessa del Padre, del Figlio attraverso lo Spirito, che ci rende capaci di una relazione che ci fa una cosa sola nella quale ci sono carismi e funzioni diverse all’interno di una fraternità che è il nome proprio dell’Assemblea ecclesiale che esclude ogni piramidalità. Un cammino mai concluso, la cui meta ci sta sempre davanti. Facciamo nostra la preghiera del salmo 24: “Guidaci Signore a camminare sulla tua via, rendici capaci di portare il peso, di partecipare alla tua kabōd (gloria)”.

 (BiGio)

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