“Il tuo volto, Signore, io cerco: non nascondermi il tuo volto!” (Sal 27,8). La traduzione italiana del brano evangelico proclamato, nel suo lodevole sforzo di decodificare alcune espressioni dell’originale greco, fa purtroppo scomparire una triplice menzione del termine prósopon, volto, sottraendoci così una chiave di lettura unificante del brano evangelico odierno. Letteralmente leggiamo: “Gesù indurì il suo volto per andare a Gerusalemme … mandò dei messaggeri davanti al suo volto … ma non fu accolto perché il suo volto andava verso Gerusalemme” (vv. 51-53). È il volto di Dio, che ha assunto aspetto umano in Gesù di Nazaret, a essere in gioco qui, in una serie di eventi e dialoghi che ci parlano del discepolato con un linguaggio insolito e anche sorprendente
"Chi dite che io sia? Che volto mi attribuite voi che mi seguite già e voi che vorreste seguirmi?”. Un volto duro, risoluto, consapevole delle conseguenze che avrà il cammino che si sta per intraprendere verso Gerusalemme, un volto che guarda avanti, proteso verso il futuro immediato. E qui una prima stranezza: Gesù manda davanti al suo volto dei messaggeri, degli “angeli”. Non dei discepoli, perché i discepoli devono seguire il Maestro, andare dietro a lui: il ruolo di precursori spetta ai profeti e tra essi al Battista, mandati da Dio a “preparare per lui” (dice il testo odierno), a preparare il cammino per Gesù. I discepoli – in particolare i due più focosi, i “figli del tuono” Giacomo e Giovanni – entrano in scena appena saputo del rifiuto opposto dai samaritani. E lo fanno non solo sfigurando il volto di Gesù in un risentimento vendicativo, ma attribuendosi addirittura dei poteri sovraumani, come se si sentissero sicuri di ottenere dal cielo il fuoco invocato, come se si credessero in possesso dello stesso spirito del profeta Elia, lui sì precursore della venuta di Gesù.
A questo punto Gesù si volta, cambia direzione al suo sguardo e rimprovera i discepoli, cambiando il villaggio-tappa del cammino e cambiando i paradigmi della sequela. Luca nel brano immediatamente successivo ci presenterà tre abbozzi di vocazione – due autopromosse, inframmezzate da una suscitata da Gesù –, ma le tre risposte di Gesù non riguardano tanto gli interlocutori immediati quanto piuttosto i discepoli presenti e futuri; riguardano la consapevolezza del volto, del “chi è” colui che si sta già seguendo o che si vorrebbe iniziare a seguire o dal quale si è stati invitati alla sequela. Tre risposte “a lato” delle domande, tre risposte non perfettamente pertinenti agli interrogativi, tre riprese che riportano il discorso su un altro piano, sul significato della sequela.
Parole, come quelle odierne, rivolte a singoli discepoli, perché la chiamata di ciascuno è personalissima, ma parole che – accolte – creano, plasmano, edificano la comunità cristiana, una comunità che sarà anche capace di invocare e far scendere il fuoco dall’alto: ma sarà il fuoco dello Spirito che si poserà, come si è posato a Pentecoste, sulla comunità, divenuta per grazia un cuore solo e un’anima sola.
(un fr. di Bose)
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