Ora, Noi associamo spesso il termine Trinità a quello di mistero. Che significa che la Trinità è un mistero? Si parla di mistero quando qualcuno o qualcosa si dischiude a noi a partire dal suo intimo, dalla sua verità profonda, dal suo cuore, dalla sua interiorità. Le porte del mistero si aprono solo dall’interno: non si può penetrare in esso dall’esterno, e men che meno con violenza. Al tempo stesso, un mistero, come il mistero divino, quando si apre e consegna all’uomo, non cessa di essere mistero. Più si entra nel mistero, più esso si approfondisce e diviene affascinante. Così è per il mistero trinitario. Afferma Kallistos Ware: “Il mistero, nel vero senso teologico del termine, è aperto alla nostra comprensione umana, ma questa rivelazione non può essere esaustiva, perché concerne le profondità della ‘tenebra divina’. Ciò che è detto della natura trinitaria di Dio nella Scrittura, nelle definizioni dei Concili e dai Padri della chiesa, deve certamente essere accolto come vero, ma non esprime e non può esprimere la verità nella sua integralità vivente e trascendente”.
Ora il mistero trinitario si radica nell’elementare affermazione biblica del rivelarsi di Dio. Il Dio biblico si manifesta sovranamente e liberamente all’uomo, e perciò precede e fonda ciò che l’uomo può dire ed esperire di lui. Di più, il Dio biblico, è il Dio che parla all’uomo: colui che si relaziona con l’uomo rivolgendogli la parola. Il rapporto dell’uomo con Dio viene pertanto e da subito (fin dalla creazione) posto sotto il segno dell’ascolto, dunque dello sviluppo dell’interiorità e della percezione dell’alterità, viene posto sotto il segno della distanza e non della fusione, della relazione e non dell’immedesimazione, della comunione e non della confusione. Proprio il testo evangelico odierno mostra come Gesù Cristo, verità di Dio, cioè rivelazione di Dio all’umanità, dice che il suo parlare ai suoi discepoli è parziale, incompleto, non totalizzante. “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16,12). Cristo, Parola di Dio, ha in sé una dimensione di non detto che solo lo Spirito rivelerà guidando il cammino dei discepoli nella storia. Per questo Gesù formula la promessa dello Spirito di verità (Gv 16,13) e lo fa a partire dal suo sguardo che vede la debolezza dei discepoli, la loro incapacità a portare il peso delle parole che egli ancora avrebbe da dire. La condiscendenza e la compassione del Figlio sono all’origine della promessa dello Spirito.
(Luciano Manicardi)
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