Liturgia e sinodalità. Questioni chiave

La «riforma liturgica» è l’unica riforma compiuta che sia scaturita dal Concilio Vaticano II modifica il rapporto che la tradizione medievale aveva strutturato tra «clero/ laici». Per questo, se ragioniamo secondo la riforma liturgica, dovremmo smetterla di usare queste categorie vecchie. Clero e laici sono una costruzione ecclesiologica di cui non abbiamo più bisogno.


Una «sinodalità» non accessoria – ossia non appiccicata ad un corpo ecclesiale che la ignora – deve iniziare dal considerare l’atto di parola e l’atto di sacramento come «atto comune» a tutta la assemblea. Chi «presiede» non sostituisce né Cristo né la Chiesa, ma le pone in correlazione visibile, servendo l’uno e l’altra. Anche qui la liturgia è «campo esperienziale nuovo» – pur se antico quanto la Chiesa – perché cambia due modalità di base della vicenda ecclesiale: – muta il rilievo dell’esteriorità rispetto alla interiorità; – rimodula l’esercizio del potere in rapporto alla vita ecclesiale.

Si deve riconoscere che il «mutamento della forma rituale» non corrisponde alle norme che pretendono di regolarla sul piano canonico. Fin dall’inizio – ossia dagli anni 60 – si è creato un «gap» singolarmente accentuato. Sul piano canonico spesso rimane fino ad oggi la impronta indelebile di una ricostruzione della liturgia come «atto di potere» di una «parte della chiesa» sull’altra.
Si guardi, ad es., come il diritto canonico descrive il «sacramento della penitenza» e come ne riduce la «forma corporea» a mere «imputazioni formali», per capire che il sacramento consiste sostanzialmente nel «potere di assolvere» in capo al ministro ordinato.
Questa lettura giuridica vecchia e oggi improponibile non ha bisogno di alcun sinodo, è autosufficiente e autoreferenziale nella sua autocomprensione clericale.

Ci sono cose nuove nella storia, che non si lasciano comprendere semplicemente dalle categorie precedenti. Sul piano del ministero, della iniziazione, della guarigione, della vocazione, abbiamo cose nuove da riconoscere e da onorare.

Sinodo significa garantire che si possa davvero camminare insieme nella fede. Questo non si identifica con il «salvare lo status quo» che, invece, significa affossarlo. Ci sono cose nuove nella storia, che non si lasciano comprendere semplicemente dalle categorie precedenti. Sul piano del ministero, della iniziazione, della guarigione, della vocazione, abbiamo cose nuove da riconoscere e da onorare.


L'intera acuta riflessione di Andrea Grillo sulla rivista Rocca a questo link:

https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2021/10/liturgia-e-sinodalita-questioni-chiave-a.-grillo.pdf


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