Sembra il titolo di un romanzo di Bruce Marshall o di Graham Greene, invece è il contenuto dell’annuncio odierno del Concistoro del prossimo 27 agosto da parte di Francesco papa, piuttosto inatteso, anche per la particolare collocazione agostana di un simile evento ecclesiale.
Tra i vescovi diocesani in Italia diventa cardinale soltanto il vescovo di Como, mons. Oscar Cantoni, nessun altro (né a Milano, né a Torino, né a Genova, né a Venezia, né a Napoli, né a Palermo). E tra i vescovi italiani, ma non titolari di diocesi italiane, colpisce la nomina di mons. Giorgio Marengo, Prefetto Apostolico di Ulan Bator, capitale della Mongolia, vissuto a Torino dai 3 anni in poi.
Disse in un’intervista a La Stampa di due anni fa: «Missione è rendere possibile l’incontro con Cristo a chi ancora non lo conosce. Questo è vero per ogni cristiano. Ma nella Chiesa esiste anche una vocazione specifica, quella di vivere questa dimensione della fede a servizio di popoli che per varie ragioni non si sono ancora confrontati con il Vangelo. Per noi in Mongolia questo significa entrare in punta di piedi in un altro mondo, imparare a decifrarne l’identità ed essere seme disposto a morire in quel terreno, perché il Vangelo germogli. Tanti sono gli ambiti in cui la missione si realizza: promozione umana, ricerca culturale, dialogo interreligioso, presenza silenziosa e orante. Abbiamo anche provato a descrivere questo percorso con una immagine: sussurrare il Vangelo al cuore della Mongolia». (https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/04/15/news/mongolia-il-neo-prefetto-di-ulan-bator-padre-marengo-la-nostra-pasqua-ai-confini-del-mondo-1.38721333/).
La nomina segue all’udienza papale tenutasi soltanto ieri alla Delegazione di Autorità del Buddismo della Mongolia. E durante l’udienza il Vescovo di Roma ha affermato: «Il messaggio centrale del Buddha era la nonviolenza e la pace. Insegnò che «la vittoria si lascia dietro una scia di odio, perché il vinto soffre. Abbandona ogni pensiero di vittoria e sconfitta e vivi nella pace e nella gioia» (Dhammapada, XV, 5 [201]). Sottolineò inoltre che la conquista di sé è più grande di quella degli altri: «Meglio vincere te stesso che vincere mille battaglie contro mille uomini» (ibid., VIII, 4 [103]).
In un mondo devastato da conflitti e guerre, come leader religiosi, profondamente radicati nelle nostre rispettive dottrine religiose, abbiamo il dovere di suscitare nell’umanità la volontà di rinunciare alla violenza e di costruire una cultura di pace.
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