Bosnia Erzwgovina, territorio (s)conosciuto

A un quarto di secolo dagli accordi di Dayton, a ottobre la Bosnia Erzegovina affronterà le nuove elezioni in un contesto segnato dalle tensioni etnonazionaliste, da un’economia stagnante e dall’aumento dell’emigrazione


Dal 1996 ad oggi, il periodo che precede le elezioni politiche della Bosnia Erzegovina vede tradizionalmente aprirsi una forte polarizzazione sociale: drammatizzazione degli scenari, rievocazione di memorie di guerra e linguaggi d’odio, mobilitazione clientelare. Puntualmente giornalisti e osservatori si affannano a spiegare che la crisi era peggiore di quella di quattro anni prima.

Anche in questa lunga campagna elettorale de facto che precede il voto del 2 ottobre, non mancano elementi a sostegno dell’ennesima eccezionalità. Già da tempo si osservavano segnali di esaurimento del ciclo della transizione, iniziata con gli accordi di pace di Dayton del 1995 e mai completata. In particolare, sembra ormai chiudersi il suo secondo tempo: quest’ultimo è cominciato con la fallita riforma costituzionale del 2006, proseguendo con la stagnazione socioeconomica post-crisi globale del 2008, da cui scaturirono il cementarsi di sistemi cleptocratici attorno ai tre principali partiti nazionalisti del Paese (serbo, croato e bosgnacco) e la radicalizzazione dei due nazionalismi centrifughi (serbo e croato).


L'intera analisi di Alfredo Sasso a questo link:

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