Le proteste in Libia tra crisi economica e sociale e lotte di potere irrisolte

Un paese diviso. Una frattura che da anni non riesce a ricomporsi. La violenza che ha accompagnato l’uscita di scena di Gheddafi (nel 2011) negli anni non si è esaurita. Tutt’altro. Nelle ultime settimane una serie di proteste è scoppiata nelle strade di diverse città della Libia. E stavolta non si tratta solo di rivendicare il potere e la gestione delle ricchezze. Per strada sono scesi i cittadini, che lamentano l’aumento del costo della vita e la difficoltà crescente a far fronte alle necessità basilari. Una situazione che oggi fa i conti con l’emergenza globale ma che in questo paese così lacerato è l’ovvio e devastante effetto di anni di conflitto interno. 


In un report dello scorso anno era stata calcolata una perdita economica potenziale (a partire dagli anni successivi al 2011) pari a 783,2 miliardi di dinari libici (circa 158 miliardi di euro). Tutti i settori dell’economia sono stati colpiti dall’instabilità politica. Quelli macroeconomici legati per esempio agli investimenti come quelli della produzione interna, a cominciare dai settori delle costruzioni e dell’agricoltura. Insomma la cosiddetta transizione si sta rivelando un disastro e a distanza di pochi mesi ha senso definire quella libica “una tempesta perfetta scatenata sia dai nuovi azzardi politici sia da un'eredità di lotte di potere irrisolte”. Una tempesta in cui tentativi di approvare il bilancio dello Stato, di allocazione di risorse e di ricostruzione di tutto quello che negli anni di guerra civile è andato distrutto (infrastrutture in primis) non trovano una concreta disposizione ma sono oggetto di ricatti e di improbabili accordi tra le forze in campo. 

Ma vediamo quali sono gli azzardi politici e le irrisolte lotte di potere. In Libia non c’è un governo, ce ne sono due. Quello istituito a marzo dello scorso anno, con sede nazionale a Tripoli, nato da un processo politico guidato dalle Nazioni Unite. Si tratta di un governo di transizione - a capo il primo ministro Abdelhamid Dbeibah - che avrebbe avuto lo scopo di porre fine ad oltre dieci anni di caos e di condurre alle elezioni, nel dicembre 2021. Il caos purtroppo permane e le elezioni sono state rinviate. Prima a gennaio di quest’anno (anche queste saltate) e ora, chissà… L’altro governo ha sede a Tobruk ed è guidato dal premier designato dal Parlamento libico (House of Representatives), Fathi Bashagha, che più di una volta ha provato con le sue milizie ad assaltare la sede di governo nella capitale e prenderne possesso. Ex ministro degli Interni nel governo riconosciuto dall’ONU (a dimostrazione di come cambia in fretta lo scacchiere in questo Paese) Bashagha è fortemente sostenuto dal maresciallo della Cirenaica Khalifa Haftar, a capo del Libyan National Army (LNA), per anni braccio destro di Gheddafi e poi – dopo essere stato messo da parte – sostenitore della rivolta per la sua destituzione. Un governo ad Ovest, l’altro ad Est: perfetta sintesi della divisione netta (quella frattura che tarda a ricomporsi) del paese. Uno scisma che risale al 2014, con la seconda guerra civile, appena tre anni dopo la violenta caduta di Gheddafi (la prima era stata quella del 2011, appunto, combattuta tra le forze leali a Gheddafi e i gruppi ribelli che volevano destituirlo). 

Ad alimentare tale divisione, a nutrirla e di fatto a rendere tutta la situazione altamente complessa e frammentata, sono le alleanze che nel corso degli anni si sono costituite intorno ai protagonisti principali della storia libica del dopo-Gheddafi. ...



L'analisi documentata di Antonella Sinopoli che fa chiarezza sulla difficile situazione continua a questo link:




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