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La differenza cristiana

Prima ancora di osservare il cristiano posto di fronte alla sfida dell'incontro diretto con il suo nemico, è necessario domandarsi chi io abbia il diritto di ritenere mio nemico. In caso di guerra è mio nemico, fuori dubbio, il capo di governo con i suoi ministri e i membri del parlamento che hanno approvato con il loro voto un'aggressione contro il mio popolo. Prima ancora di dover affrontare l'arduo comandamento dell'amore dei nemici, devo impedire di farmi trascinare acriticamente dalla propaganda di ambedue le parti, che istiga all'odio, come sempre è avvenuto nelle guerre, al fine di compattare i popoli e renderli disponibili ai sacrifici che loro si impongono.


Un amico esperto di diritto costituzionale, di fronte ai miei dubbi, mi dice che ogni cittadino, di fatto, è responsabile delle decisioni assunte legittimamente dagli organi che lo rappresentano. Ora questo a me non sembra sostenibile neanche nelle democrazie più avanzate, le quali — proprio perché tali — garantiscono la libertà del dissenso. Pensare, poi, che si possano ritenere i russi, ai quali di fatto è negata la libertà del dissenso, responsabili delle decisioni del loro governo. Potrei davvero negare la mia compassione al soldatino diciottenne mandato da Putin al macello, a combattere in Ucraina, senza sapere per chi e perché?   

Anche qui ci imbattiamo nella differenza cristiana. Infatti, per tutta la cultura del mondo antico la responsabilità del collettivo sopravanzava quella delle singole persone. Gesù, nell'avanzare la visione opposta, è stato così innovativo a suo tempo, che neppure il cristianesimo è riuscito a seguirlo con coerenza e non assoggettarsi alla mentalità diffusa. Egli era stato anticipato, a dire il vero, da alcuni tratti, se pure rari, dei profeti di Israele: «Perché andate ripetendo questo proverbio sulla terra d'Israele: "I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati"? [...] Ecco, tutte le vite sono mie: la vita del padre e quella del figlio è mia; chi pecca morirà» (Ez 18,2-4).

Gesù su questo è stato deciso: preannunciando la sua venuta come giudice alla fine dei tempi, dichiarava che egli «allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni» (Mt 16,27). E Paolo non dubita che in quel giorno Dio «renderà a ciascuno secondo le sue opere» (Rom 2,6). Di conseguenza per l'Apostolo il conflitto fra i popoli non può avere riscontro nel cuore cristiano: «Qui non vi è greco o giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti» (Col 3,11). Può essermi amico o nemico una persona umana, non un popolo.


L'intera intervista a Severino Dianich a questi link:






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