Dopo averci presentato cosa sia la sequela e la missione, il racconto che ci fa Luca di due incontri di Gesù, gli offrono l’occasione di chiarire ciò che sta al centro della vita cristiana: l’amore che è compassione, un fare, una prassi, non un sentimento, ma anche l'ascolto della Parola che richiede un cuore indiviso per amare Dio con tutta la nostra persona.
Domenica scorsa confrontandosi con Gesù, il Dottore della Legge non aveva solo ricordato il precetto dell’amore per il prossimo; aveva, come era giusto, premesso l’amore per Dio che chiede sia coinvolta tutta la persona (cuore, anima, forza e mente). Quest’ultimo aspetto sta al centro dell’incontro di oggi di Gesù con Marta e Maria.
Marta, la padrona di casa (è il significato del suo nome), si mette subito al lavoro per accogliere degnamente l’ospite. Da parte sua Maria non può lasciare che questo rimanga da solo e, quindi, si siede ai suoi piedi ascoltando quanto dice.
Non è tanto strano che Gesù entri da solo in una casa di due donne (i discepoli che stanno andando con lui a Gerusalemme non ci sono), quanto che una donna prenda l’atteggiamento di un discepolo “seduta ai piedi del Signore” e “ascolta la sua parola”, la Parola del Signore, cioè quella di Dio.
Anche se oggi le cose stanno cambiando e, in particolare nell’ebraismo Riformato, ci sono scuole rabbiniche che hanno tra i loro studenti anche delle donne, all’epoca e per l’ebraismo tradizionale non si deve insegnare la Torah alle donne; la Mishnah prescrive: “Chi insegna a sua figlia la Torah, le insegna la dissolutezza” e il Talmud di Gerusalemme: “Si brucino le parole della Torah, ma non siano comunicate alle donne”. Luca, descrivendoci questa situazione, desidera evidenziare come invece Gesù non facesse differenze.
La lettura tradizionale cristiana, da questo racconto trae la conclusione di una supremazia della vita contemplativa su quella attiva. Però non è questo l’intento del racconto. Marta e Maria fanno quello che devono fare per accogliere degnamente l’ospite.
Il problema sorge quando, spuntando dalla cucina, Marta inveisce rivolgendosi direttamente a Gesù, dicendo: “Signore, non ti curi che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti!”.
È un’esplosione di rabbia giocata di sponda contro la sorella, rimproverando a Gesù di non essere intervenuto perché lei non l’aiutava. Però, perché questo potesse avvenire, Maria avrebbe dovuto lasciare solo l’ospite, contravvenendo alla prassi di buona accoglienza e, dalla cucina, non avrebbero potuto svolgere contemporaneamente i due ruoli.
Il rimprovero che Gesù rivolge a Marta è che, a differenza di Maria, si preoccupa e agita per molte cose mentre la sorella rimane pacata, non dice nulla, rimane in silenzio, non contrappone le sue ragioni, non risponde per le rime a sua sorella. È questo che Gesù loda in Maria e non tanto il fatto che ascolta la sua Parola.
Marta preoccupandosi ed agitandosi fa emergere che non è una persona “pacificata”, ma “divisa” in sé stessa, non controlla i suoi sentimenti tanto che esplode nella rabbia.
Quello che questo Evangelo ci dice è che, per amare il Signore con tutta la nostra persona, implica l’avere un cuore unificato.
Ma questo cosa significa per noi, per la nostra vita? Cosa si deve fare per avere un cuore “unificato”? Forse a noi è impossibile, certamente è un dono come ci richiama il profeta Ezechiele (11,19-20): “Darò loro un cuore uno (o “unificato”; non certamente “nuovo” come traduce la Cei!), uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne, perché seguono le mie leggi, osservino le mie norme e le mettano in pratica: saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio”.
Se è dono, come è, significa che a noi è possibile solo chiederlo nella preghiera. Allora si comprende come il proseguo del cammino che Luca ci sta facendo fare, sfocia senza alcuna forzatura nell’insegnamento di Gesù sulla preghiera che sarà al centro Domenica prossima.
(BiGio)
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