Nel Mesaggio per la Giornata dei nonni e degli anziani l'invito del Papa a diventare maestri di pace. Serve una conversione che smilitarizzi i cuori.
La vecchiaia può far paura, a chi vi si avvicina, a chi la vive, a chi ne viene a contatto. Parte da questa riflessione il Papa nel Messaggio per la II Giornata mondiale dei nonni e degli anziani, oggi il 25 luglio sul tema “Nella vecchiaia daranno ancora frutti” (Sal 92,15). E il passaggio del Salmo sembra quasi un paradoss se lo confrontiamo con la cultura odierna.
Almeno quella, “dello scarto”, che considera l’età avanzata «una sorta di malattia con la quale è meglio evitare ogni tipo di contatto: i vecchi non ci riguardano – si pensa – ed è opportuno che stiano il più lontano possibile, magari insieme tra loro, in strutture che se ne prendano cura e ci preservino dal farci carico dei loro affanni», In realtà, come insegna la Scrittura, una lunga vita è «una benedizione e i vecchi non sono reietti dai quali prendere le distanze, bensì segni viventi della benevolenza di Dio che elargisce la vita in abbondanza». Tuttavia la vecchiaia non è facile da comprendere, ci si arriva comunque non preparati, e anche le società più evolute offrono piani di assistenza ma non progetti di esistenza.
E anche il cuore di chi la vive fatica a guardare avanti. «La fine dell’attività lavorativa e i figli ormai autonomi – scrive il Papa – fanno venir meno i motivi per i quali abbiamo speso molte delle nostre energie. La consapevolezza che le forze declinano o l’insorgere di una malattia possono mettere in crisi le nostre certezze. Il mondo – con i suoi tempi veloci, rispetto ai quali fatichiamo a tenere il passo – sembra non lasciarci alternative e ci porta a interiorizzare l’idea dello scarto». Una prospettiva rifiutata dalla Scrittura che invece invita a continuare a sperare. «Venuta la vecchiaia e i capelli bianchi, il Signore ci darà ancora vita e non lascerà che siamo sopraffatti dal male», Di qui l’invito a condurre una vita spirituale attiva. E, insieme, a curare le relazioni con gli altri: «anzitutto la famiglia, i figli, i nipoti, ai quali offrire il nostro affetto pieno di premure; come pure le persone povere e sofferenti, alle quali farsi prossimi con l’aiuto concreto e con la preghiera».
Perché – osserva Francesco –«la vecchiaia non è un tempo inutile in cui farci da parte tirando i remi in barca, ma una stagione in cui portare ancora frutti» nel segno di quella rivoluzione delle tenerezza di cui il Papa invita gli anziani a diventare protagonisti. Tanto più oggi in un tempo segnato «prima dalla tempesta inaspettata e furiosa della pandemia, poi da una guerra che ferisce la pace e lo sviluppo su scala mondiale». E non è casuale – avverte il Papa – «che la guerra sia tornata in Europa nel momento in cui la generazione che l’ha vissuta nel secolo scorso sta scomparendo».
Di fronte a tutto questo, «noi anziani, abbiamo una grande responsabilità: insegnare alle donne e gli uomini del nostro tempo a vedere gli altri con lo stesso sguardo comprensivo e tenero che rivolgiamo ai nostri nipoti». Possiamo cioè – spiega Il Pontefice – «essere maestri di un modo di vivere pacifico e attento ai più deboli». Perché di fronte al conflitto e alle altre forme diffuse di violenza che minacciano la famiglia umana e la nostra casa comune «abbiamo bisogno di un cambiamento profondo, di una conversione, che smilitarizzi i cuori, permettendo a ciascuno di riconoscere nell'altro un fratello».
Uno dei frutti infatti che i vecchi sono chiamati a portare è quello di custodire il mondo. E allora «custodiamo nel nostro cuore – come faceva San Giuseppe, padre tenero e premuroso – i piccoli dell’Ucraina, dell’Afghanistan, del Sud Sudan...». Le nonne e i nonni, gli anziani e le anziane sono cioè chiamati a «essere artefici della rivoluzione della tenerezza!», Facciamolo – conclude il Papa – «imparando a utilizzare sempre di più e sempre meglio lo strumento più prezioso che abbiamo, e che è il più appropriato alla nostra età: la preghiera». La nostra invocazione fiduciosa può fare molto: può accompagnare il grido di dolore di chi soffre e può contribuire a cambiare i cuori. Possiamo essere la “corale” permanente di un grande santuario spirituale – conclude Francesco – dove la preghiera di supplica e il canto di lode sostengono la comunità che lavora e lotta nel campo della vita».
(Riccardo Maccioni)
Il testo del messaggio a questo link:
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