La chiesa ci fa meditare questa pagina dell’evangelo secondo Luca in cui Gesù annuncia ciò che è davvero necessario, ciò che è necessario alla vita, ciò che fa vivere.
Scolastica, come narra Gregorio Magno nella sua biografia di Benedetto, con la sua preghiera ottenne da Dio di poter prolungare il colloquio con il fratello Benedetto, colloquio sulle realtà spirituali e divine. Di cosa parlarono esattamente? Gregorio non lo dice, ma nella sua Regola Benedetto pone come fondamento di tutto l’insegnamento dell’abate la parola di Dio, la Scrittura meditata, spezzata e annunciata.
Questo ci rinvia all’ascolto di ciò che secondo l’evangelo è l’essenziale necessario alla vita, ciò da cui la vita umana dipende, ciò che sostiene e fa crescere la vita degli uomini: la parola di Dio, parola viva ed efficace (cf. Eb 4,12), parola viva che costantemente dona la vita e crea, parola potente perché portatrice di Spirito santo, che ricrea, consola, dà vigore, illumina, fa vivere nel cuore dei credenti l’amore del Padre (cf. Rm 5,5) e ricorda ai discepoli le parole di Gesù (cf. Gv 14,26), quella parola di cui qui Maria di Betania si pone in ascolto, nell’atteggiamento della discepola, poiché solo colui che rimane, dimora, abita, vive nella parola di Gesù è veramente suo discepolo (cf. Gv 8,31). E Maria, ci dice Gesù, ha scoperto, ha trovato ciò che è veramente necessario alla vita. Perché?
Perché, in fondo, nella nostra vita cerchiamo e desideriamo tante cose, desiderosi, attraverso di esse, di cercare gioia, vita, senso. Molti possono essere i cammini che intraprendiamo, molte le scelte che compiamo, molti i passi del nostro vagare (cf. Sal 56,9) in cerca della fonte della vita (cf. Sal 36,10), sentieri su cui a volte forse ci smarriamo, vie su cui forse procediamo come a tentoni (cf. At 17,27), in cerca di qualcosa che ci faccia vivere, che sostenga la nostra esistenza, che dia senso ai nostri giorni, che faccia fiorire la gioia anche sul nostro dolore, che ci aiuti a combattere e a vincere il male che scopriamo essere anche nel nostro cuore, e dunque la morte che inevitabilmente portiamo anche dentro di noi e che rischiamo sempre di infliggere anche agli altri, con violenza. Molte le cisterne screpolate da cui cerchiamo l’acqua (cf. Ger 2,13) che plachi e tolga la nostra sete, finché, come qui Gesù si offre all’ascolto di Maria, non viene incontro al nostro desiderio e al nostro dolore come quella Parola vivente che sola è in grado di dissetare (cf. Gv 4,10-14) il cuore umano.
E Maria mostra di esserne consapevole, e attinge a quest’acqua, non si lascia sfuggire il dono della vita, della consolazione, della gioia, di quella Parola che può fare di lei una nuova creatura, cioè una vera creatura, di quella Parola che può donarle quella vita e quell’amore che nessuno le potrà mai togliere e di fronte a cui tutto il resto le appare nella sua relatività, “parte buona” finalmente incontrata e che ella non è più disposta a lasciare, tesoro senza prezzo a cui nulla preferire, gioia e vita di fronte a cui nulla può reggere il confronto. E noi?
sorella Cecilia
di Bose
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