Nello spazio della quotidianità, che per Gesù è la quotidianità del suo rapporto con il Padre nella preghiera, un discepolo gli chiede di insegnargli a pregare. Gesù dona la preghiera del Padre nostro, una preghiera semplice che ci immerge nella profondità della relazione con il Padre, fatta di richieste elementari che descrivono l’ABC della vita umana.
Con due parabole il Signore sembra indicarci che la qualità della preghiera non dipende dal contenuto più o meno profondo o da chissà quali vette teologiche da raggiungere. È l’intenzione a determinare la qualità della preghiera, è il desiderio profondo, ostinato, inesauribile di una relazione con un amico, con un Padre; è un desiderio irrinunciabile di giustizia, come per la vedova che si rivolge con insistenza al giudice ingiusto (cf. Lc 18,1-8). Gesù disse quella parabola per mostrare ai suoi discepoli che dovevano pregare sempre senza stancarsi mai. Troppi hanno interpretato questa parola come un moltiplicare liturgie e orazioni, parole e devozioni, ma la preghiera che Gesù chiede e ci mostra con la sua esistenza terrena è una preghiera che nello scorrere dei giorni e della vita si fa costantemente prassi di relazione, di amore e accoglienza, di ascolto, di porte che si aprono invece di sbarrarsi, di mani che si tendono invece di respingere.
Per diventare capaci di questo occorre che ciascuno possa sperimentare nella propria vita la misericordia di Dio, come recitava una bella orazione colletta:
“Dio Onnipotente ed eterno,
che esaudisci le preghiere del tuo popolo
oltre ogni desiderio e ogni merito,
effondi su di noi la tua misericordia.
Perdona ciò che la coscienza teme
e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare”.
“Ebbene io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (v. 9). Queste parole di Gesù, pronunciate tra le due parabole, immettono la preghiera in una dinamica di relazione, che a sua volta deve generare relazione in uno spazio di gratuità e di intimità. Noi sappiamo che il Padre sa ciò di cui abbiamo bisogno (cf. Mt 6,32), ma il Signore ci esorta a chiedere, a volere con forza e determinazione entrare in relazione con la fiducia e l’intimità che ci consentono di rivolgerci ad un amico nel momento del bisogno, sapendo che possiamo farlo anche nel tempo non opportuno, con la fiducia del figlio che sa di poter chiedere al padre senza restare inascoltato.
La preghiera che Gesù ci indica è ben più che il soddisfacimento dei nostri bisogni e desideri, ma è apertura alla gratuità della relazione, è unificazione del cuore doppio di cui parla la Lettera di Giacomo (cf. Gc 4,3), è accoglienza del dono dello Spirito affinché riconosciamo ciò di cui abbiamo realmente bisogno: il volto dell’altro.
Il dono che riceviamo nella preghiera è in vista della comunione e della condivisione con i fratelli e le sorelle, lo riceviamo perché a nostra volta possiamo donare a chi chiede, aprire a chi bussa alle porte del nostro cuore.
La preghiera è a volte uno stare nella propria situazione di bisogno senza cessare mai di chiedere, di cercare, di bussare a ogni porta, è uno stare mantenendo dentro di sé la luce flebile della speranza che il Signore vede la nostra sofferenza e il nostro bisogno e senza misura dona lo Spirito, il Consolatore, colui che non ci abbandona mai.
fratel Nimal
di Bose.
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