I seminari sono a un bivio. Non si può continuare la formazione in un modello ministeriale “esaurito”, perché “è stato creato nel XVI secolo”. Si rischia di formare presbiteri per una società che non c’è più, definita da una realtà sociale, culturale e socioeconomica completamente nuova. Siamo coinvolti in un processo non solo di immaginazione, ma anche di trasformazione che ci richiede, in un certo senso, di saper cogliere l’opportunità che ci viene data. Urge una riconfigurazione del ministero del presbitero, decentrandolo dalla sua esclusività di ministro, ponendo fine alla «cultura della separazione» tra futuri presbiteri, comunità cristiane e società.
Si impone una riflessione onesta, libera da luoghi comuni e approfondita per essere in grado di allinearsi alle grandi sfide che il mondo affronta oggi nel servizio delle comunità e nel dialogo con i mondi diversi. non esistono soluzioni facili o progetti esemplari. Come si forma oggi un prete, come è organizzata la giornata di un candidato al ministero presbiterale? Lodi, colazione, poi il pulmino che riporta in seminario alla fine delle lezioni; pranzo, riposino e poi tempo per lo studio, Vespri e Messa, cena… Ma non si occupano di cucinare, di fare la spesa, di lavare e stirare i panni. A parte lavare i piatti e sparecchiare, il tempo è consacrato tutto alla preghiera e allo studio. Problemi pratici, gestionali e domestici pari a zero. Spesso neppure la fatica di prendere i mezzi pubblici e mescolarsi fra la gente. È una formazione di base più adatta ai monaci che non ai futuri preti, chiamati a confrontarsi con una realtà complessa e in costante cambiamento della nostra moderna “società liquida”.
Un ulteriore elemento che favorisce la deriva clericale riguarda i processi istituzionali di nomina e assunzione di ruolo. In molti casi per il presbitero non si prevede una gradualità nell’inserimento in nuovi ambienti e incarichi, ma egli ha sempre un entry level troppo alto: arriva in parrocchia e, ancor prima di conoscere qualcuno, ha già un ruolo più elevato della maggioranza dei fedeli. Il principio evangelico, per cui chi sta sopra deve servire, viene di fatto smentito nella prassi organizzativa e poi ci si lamenta della malattia del carrierismo!
Senza contare la questione di come discernere la chiamata di Dio in questione. È solo un impulso interiore e personale, o anche una chiamata che viene dalla comunità?
L'intera riflessione di Domenico Marrone, Docente di Teologia Morale Fondamentale e Teologia Morale Sociale, che giunge a intuire anche aspetti propositivi a questo link:
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