“Per questo io sono nato”. Natale, la “follia” di Dio e il senso profondo della venuta al mondo di Gesù

“Con Gesù non è più la Legge, fosse pure quella divina, a guidare i passi dell’uomo, ma è la risposta agli impulsi vitali dell’uomo a fargli da guida, portandolo a realizzare quel deside­rio di pienezza di vita che costituisce il suo essere e a renderlo, come Gesù, figlio di Dio”. 


Nel vangelo di Giovanni è Gesù stesso che parla della sua nascita, il cui significato è stato formulato teologicamente dall’evangelista con l’affermazione “La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). Per questo Gesù è nato e venuto, per una nuova relazione tra gli uomini e Dio, non più basata sull’obbedienza alla Legge divina, ma sull’accoglienza e assomiglianza all’amore del Padre. Mentre l’alleanza di Mosè rendeva sudditi, quella di Gesù ne faceva dei figli; nella prima restava sempre una distanza tra il Dio che comandava e il suddito che ubbidiva, in quella di Gesù più l’uomo assomiglia al Padre e più Dio si fonde con lui, ne dilata la capacità d’amore e Dio e l’uomo diventano una sola cosa (Gv 17,11-2314,23). È questo il vero motivo della morte del Cristo: “Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio” (Gv 5,18).

Di fatto, l’unica volta in cui Gesù si riferisce al perché della sua nascita, è paradossalmente in occasione della sua uscita da questo mondo, poco prima di essere condannato a morte, in un impossibile dialogo tra sordi con Pilato.

Gesù è stato condotto dai capi del popolo da Pilato con l’accusa di essere un malfattore (“Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato”, Gv 18,30). Per le autorità religiose l’attività di Gesù, di restituire dignità e libertà agli uomini, rendendoli capaci “di diventare figli di Dio” (Gv 1,12), è un crimine intollerabile, da punire con la morte. I capi sono coscienti che Gesù, chiamando Dio suo Padre, si proclama suo unico rappresentante, e che se con Gesù  l’amore di Dio giunge direttamente a ogni uomo, senza bisogno di mediatori, di strutture, di leggi, di culti, è la rovina del potere religioso. Pertanto il progetto di Dio sull’umanità, che ogni uomo diventi suo figlio (Gv 1,12), viene considerato dalle autorità religiose un crimine degno di morte, in quanto mina le basi stesse di un sistema che pretende di essere l’indispensabile mediatore tra Dio e gli uomini (“Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio”, Gv 10,33).

Per tutto questo i capi non portano Gesù davanti a Pilato per fargli un processo, ma perché venga ammazzato, e lo accusano di essere un sobillatore politico, un agitatore che vuol porsi a capo di una ribellione contro l’Impero romano (Gv 11,48). Per la casta sacerdotale al potere, Gesù è un criminale talmente pericoloso che essi lo detestano più dei pur odiati dominatori, che vengono usati per farsi strumento della loro vendetta. In realtà i Romani, rappresentati da Pilato, non vedono alcun pericolo in Gesù, e il procuratore mostra tutto il suo stupore di fronte al “malfattore” e gli chiede con insistenza se sia o no il re dei Giudei, un pericoloso rivoluzionario.


L'intera riflessione di Alberto Maggi a questo link:

https://www.illibraio.it/news/storie/natale-biblista-alberto-maggi-937569/?fbclid=IwAR0iDwvZgkpp4u5quS9iqKiXxPtRh1AgHR11sxLG7DaZaZGKg4vLoeDdP6Y

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