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Gv 20, 19 -31 A - II di Pasqua (parte prima)

“Pace a voi” non è un augurio, ma una affermazione, un dono e un compito: "spazzare via" il peccato


Iniziato con Maria di Magdala che precede l’aurora al sepolcro di Cristo trovandolo già vuoto, dopo il tramonto con le ombre della sera che già hanno coperto la terra, non avendo “ancora compreso la Scrittura, cioè che egli doveva risorgere dai morti”, i discepoli si sono rinchiusi in casa “per timore dei giudei”. Rimanere nascosti senza porsi molte domande e cercare di capire confrontandosi con la realtà esterna, forse poteva salvarli dal subire la medesima sorte del loro Maestro: “Andiamo anche noi a morire con lui” aveva detto convinto Tommaso detto Didimo quando Gesù aveva deciso contro il parere di tutti di andare in Giudea dove avevano già cercato di ucciderlo (Gv 11,8.16). 

È un atteggiamento comprensibile, sperimentato da tutti noi in un qualche momento della nostra vita ed è anche comune nelle istituzioni, nelle comunità. La Chiesa non fa eccezione nonostante gli stimoli e gli incompresi avvertimenti di papa Francesco. La paura porta a non poter essere quel “sale della terra”, quella “luce del mondo” che sono i compiti indicateci da Gesù e che impegnano al confronto con un mondo in continua evoluzione del quale, volenti o nolenti, facciamo parte e condividiamo la realtà. Essere come quei primi discepoli rinchiusi in sé stessi, significa non aver coscienza che in mezzo a noi c’è il Risorto ed è quello che ci svela l’Evangelo di oggi.

Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!»”. Innanzitutto non è una apparizione fugace, ma venne e rimase in mezzo a quel gruppo impaurito. Quella comunità e ogni comunità è chiamata a rendersi conto che Gesù è presente in mezzo ad essa non come un comandante, ma condividendo la situazione che sta vivendo. È questo che fa superare la paura del confronto e mette nella condizione di “vedere” e far crescere ovunque i germogli di risurrezione da lui posti. È questo che significa quel ripetuto “Pace a voi” che non è un augurio, ma una affermazione: “la pace”, cioè lo Shalomovvero la Presenza di Dio è con voitra di voi, in voi. il dono di una Presenza d’amore dato innanzitutto alla Comunità dei discepoli e solo di conseguenza ai suoi singoli componenti. Una Presenza che attesta una riconciliazione avvenuta in una realtà pacificata di piena comunione con il Padre. Shalom che non deve e non devono tenere per sé stessi ma va condiviso e riconosciuto ovunque, anche nelle situazioni più difficili o disperate.

Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” aggiunge il Risorto mostrando le mani e il costato: cioè il suo modo di agire che la Comunità generata dal suo petto squarciato è chiamata a proseguire nel servizio gratuito. È in questo modo d’essere che lo riconoscono e lo si riconosce ed è per questo dono gioiscono e che si gioisce.

Quindi Gesù “Soffiò e disse loro: ricevete lo Spirito Santo”. Il verbo rarissimo qui usato compare solo altre due volte nella Scrittura: alla creazione dell’uomo (Gn 2,7) e in Ezechiele (37,1-10) sulle ossa aride che riprendono vita. Il dono dello Spirito è effuso sulla Comunità, di conseguenza sui singoli discepoli. Come per l’uomo in Genesi, anche qui viene dato un compito: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. Il verbo che viene adoperato ha il significato di “portare via”, vale a dire che la Comunità dei discepoli hanno il compito di far sparire, di spazzare via la realtà del peccato, il modo vecchio vivere legato alle seduzioni del potere personale; l’incarico dato è quello di usare le mani per far sparire la violenza, il modo di vivere non secondo Dio, per costruire un mondo di pace. È la grande responsabilità data alla Comunità dei discepoli, a noi credenti.

(BiGio)

(continua nella seconda parte: 

https://parrocchiarisurrezione.blogspot.com/2023/04/gv-20-19-31-ii-di-pasqua-parte-seconda.html)



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