Un problema ingombrante: il cristianesimo tossico

Meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo (Ignazio d’Antiochia, + 108 d.C., martire). Giuseppe Dossetti ha affermato a Pordenone già nel 1994: “Non c’è un’età post-cristiana per chi ha fede. C’è un’età che ha un regime mutato, un regime globale – culturale, sociale, politico, giuridico, estetico – non ispirato al cristianesimo: cioè un’età non più di cristianità; questo sì, e di questo dobbiamo convenire. La cristianità è finita! E non dobbiamo pensare con nostalgia ad essa, e neppure dobbiamo ad ogni costo darci da fare per salvare qualche rottame della cristianità”.


La domanda è: a quale cristianesimo possiamo oggi continuare a credere?

Non sono pochi i paesi nei quali un certo populismo di destra sfrutta l’elemento religioso come il vero cemento culturale, come base identitaria della comunità nazionale. Vediamo il ritorno di una visione della religione formalista e culturalista, come fenomeno identitario e magari escludente. Anche sul piano politico vince e si afferma un semplicismo preoccupante nella realtà molto complessa del nostro mondo globalizzato.

Per quanto la cristianità sia finita siamo chiamati a credere nel Vangelo di Gesù. A identificarci con lui. È lui stesso “Vangelo”; per noi determinante. dobbiamo rifiutare decisamente certe ‘tossine’ presuntuose e narcisistiche e non preoccuparci di salvare i rottami della cristianità. “Il cristiano di domani o sarà un ‘mistico’, uno che ha ‘sperimentato’ qualcosa, o non sarà”. (Karl Rahner)


L'intera riflessione di Giuseppe Florio a questo link:

1 commento:

  1. Grazie per queste riflessioni. Servono a chiarire le idee, almeno a me.
    Linda

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