Rav Gianfranco Di Segni replica ancora alle parole del teologo Vito Mancuso, pubblicate in un articolo su La Stampa del 27 marzo, Non per una sterile polemica ma per una discussione costruttiva, perché – come afferma il Talmud – da questa si accresce la conoscenza.
L’interpretazione ebraica del passo biblico sulla “legatura di Isacco” (Genesi cap. 22) è profondamente diversa da quella proposta da Mancuso. La traduzione del versetto da lui riportata, “Prendi il tuo amato unico figlio, Isacco, va’ nella terra di Morijà e là offrilo in olocausto” (Gen. 22:2), è certo una traduzione possibile ma non l’unica. Come nella maggior parte dei casi, traducendo da una lingua all’altra si perde la molteplicità di diverse letture che può esserci nella lingua originale, in questo caso l’ebraico. La parola “offrilo” traduce il termine ebraico veha’alèhu, che significa in realtà “fallo salire”. La connessione fra salire e i sacrifici è ovvia: la fiamma del fuoco sale in alto. Rashì (Francia, 1040-1105), il massimo commentatore della Torà degli ultimi mille anni, interpreta il termine nel senso letterale, ossia che l’ordine divino è di far salire il ragazzo sul monte. Così scrive Rashì a commento di quel versetto: “Il Signore non disse ad Abramo ‘scannalo’, perché non era Suo desiderio farlo scannare bensì di farlo salire sul Monte”. E continua Rashì: “Dopo che l’ebbe fatto salire, Dio gli disse: Fallo scendere”.
Le interessantissime letture proposte da Raccontare Di Segni (ma da leggere sono anche i commenti seguenti) a questo link:
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