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Gv 20, 19 -31 A - II di Pasqua (parte seconda)

La risposta di Tommaso più che un dubbio esprime sorpresa. Nessun rimprovero da parte di Gesù ma l'invito ad avere fisso lo sguardo sulle sue mani e sul suo costato che ci affidano un compito


Tutti gli Evangeli, a partire dai sinottici, terminano sottolineando la fatica che hanno fatto i discepoli a giungere a credere che Gesù è risorto: incredulità e durezza di cuore in Marco, turbamento e dubbi in Luca e Matteo. L’Evangelo di Giovanni non è da meno ed anche lui ci propone questa difficoltà attraverso la figura di Tommaso detto Didimo, il “nostro gemello” nel quale vediamo le nostre difficoltà.

Non ci viene detto perché non era con la Comunità quella sera. Sono state fatte molte ipotesi, ciascuna per tirare l’acqua al mulino della spiritualità dell’autore; personalmente non credo si possa aggiungere molto a quanto l’Evangelo dice e, quindi, è più corretto fermarsi senza correre il pericolo di fare solo delle illazioni gratuite.

In ogni caso, quando rientra i discepoli “gli dicevano: abbiamo visto il Signore!”. È importante il verbo all’imperfetto e non al passato remoto, perché indica una azione continuata: cercavano cioè di convincerlo anche insistendo. La risposta di Tommaso è quella di chi reagisce ad una notizia che sorprende: “Non ci credo. Troppo bello per essere vero! Se non faccio anch’io questa esperienza non ci credo”, quindi più che un dubbio è il desiderio di fare la medesima esperienza.

Otto giorni dopo”, sarà anche lui riunito “a porte chiuse” con gli altri discepoli, ancora ripiegati su sé stessi e di nuovo “venne Gesù e stette in mezzo a loro”.

Quello che ci viene chiesto di comprendere è che, se Dio lo possiamo incontrare nella preghiera nella nostra camera (Mt 6,6), il Risorto invece solo all’interno nella Comunità riunita nel suo nome nell’ottavo giorno: la domenica, il Giorno del Signore. È qui che lui ai presenti dona continuamente la pace, lo Shalom, e può essere fatta l’esperienza della sua presenza reale.

In questo senso è l’invito fatto a Tommaso e, attraverso lui a tutti noi, di guardare le sue mani e il suo costato e di tenerli sempre davanti agli occhi sapendo che quelle mani hanno costruito soltanto amore e che il compito affidatoci è quello di mostrare a tutto il mondo le sue mani nelle nostre mani. Sapendo che da quel costato ferito che rappresenta la sua vita donata per amore, è nata la Chiesa, la Comunità che come Tommaso è il nostro “didimo”, il nostro “gemello”, perché anche la nostra come quella delle origini è costituita da persone fragili, deboli, timorose ma alle quali il Signore Risorto non fa alcun rimprovero, bensì continua a soffiare donandole il suo Spirito e affidandole il compito di costruire il mondo nuovo, il Regno di Dio.

(BiGio)

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