Un tema molto interessante sul quale è necessario essere consapevoli e riflettere: il nesso tra direzione della preghiera liturgica, la posizione del presidente all’altare e la posizione dell’assemblea. Orientamento che è dato per scontato ma che, invece, è ricco di implicazioni che esprimono la fede.
Un’analisi della questione che verta solo sull’alternativa ad altar / ad populum è a mio avviso riduttiva. Il nesso tra direzione della preghiera, posizione del presidente all’altare e posizione dell’assemblea deve tener conto di altri fattori, come quello dell’esistenza o meno della separazione di spazi determinata dal presbiterio come zona rialzata rispetto alla zona dell’assemblea.
Nella logica del rito pre-riformato essa ha un senso come delimitazione di un’area sacrale dove si compie il sacrificio e di un’area antistante in cui sono raccolti in assistenza coloro per i quali si compie il sacrificio. Il superamento di questa distinzione – apporto centrale ecclesiologico dell’istanza di SC della actuosa participatio – esige di valutare la sensatezza del permanere di due aree separate, prima e più che la questione della posizione dell’altare rispetto ai soggetti celebranti.
All’interno di tale questione si determina anche la forma con cui i soggetti sono disposti in relazione all’altare. Attualmente la maggior parte delle chiese italiane (nuove o riadattate) hanno conservato la disposizione ottocentesca dei banchi in fila verso il presbiterio; posizione che nella forma celebrativa precedente dava il dinamismo di una processione verso una soglia (l’altare) tra due mondi. Ora, mantenuta la forma dell’assemblea, ma variata la forma del polo in direzione della quale essa è disposta, l’impressione è spesso quella di aver riprodotto la dinamica di un’aula da conferenze o di un teatro moderno, dove degli attori su di un palco compiono qualcosa in direzione degli spettatori allineati in platea .....
La riflessione di Z. Carrara continua a questo link:
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