La domenica di Pasqua Giovanni ci ha raccontato l’incontro delle donne con il Risorto che va loro incontro; queste gli abbracciano i piedi a dire che lo riconoscono e sono disponibili di continuare ad essere alla sua sequela. Domenica scorsa è continuato il racconto di quella giornata inimmaginabile con Gesù che “viene e rimane” in mezzo ai discepoli riuniti annunciando loro che lo Shalom, la Presenza di Dio è tra di loro a donare riconciliazione e a renderli rappacificati in lui. Ma come sempre un dono ha anche il volto di un compito: andare a portare e a realizzare il progetto del Padre tra tutti gli uomini spazzando via la realtà del peccato, il vecchio modo di vivere legato alle seduzioni del potere personale.
Tommaso però era assente a quell’evento ed esprime il desiderio di viverlo. Questo accade “otto giorni dopo” quando anche lui è presente all’assemblea dei discepoli. Questa è una lieta notizia per noi: possiamo fare la medesima esperienza del Risorto che viene e sta in mezzo a noi, alle nostre comunità riunite e, con Tommaso, possiamo dire: “mio Signore e mio Dio!”.
In questa terza domenica di Pasqua Luca risponde alle domande che la sua Comunità si pone a circa sessanta anni dalla risurrezione di Gesù, domande che possono essere anche le nostre ed è per questo che, dei due discepoli che lasciano Gerusalemme “quello stesso giorno” (quello della risurrezione), uno solo ha il nome l’altro no: ci rappresenta tutti, in lui possiamo identificarci e con lui trovare le risposte.
Luca non ci dice perché hanno lasciato la città e si sono incamminati verso un’altra località; è inutile fare qualsiasi ipotesi. Quello che è importante è che sono in due e non sono fermi, statici, chiusi, ripiegati su sé stessi ma in cammino, in un atteggiamento dinamico. Nel fare il loro percorso, discutono animatamente (il verbo greco dice proprio questo) di quello che avevano vissuto cercando di rileggerlo, per trovare delle risposte alle loro domande, alle loro attese andate deluse: “noi speravamo che Gesù fosse colui che avrebbe liberato Israele…”. Sono delusi ma riprendono la strada e fanno memoria per cercare di raccogliere, facendone tesoro, l’eredità lasciata. Malachia (3,16) ha scritto: “Allora parlarono tra loro i timorati di Dio. Il Signore porse l’orecchio e li ascoltò” ed è proprio questo che accadde ai due discepoli.
Certo, oggi sappiamo che lo sconosciuto che si aggiunse ai due è Gesù e, in fin dei conti, anche noi lo sappiamo al nostro fianco nel quotidiano della nostra vita. Questo però non ci toglie la domanda su come possiamo riconoscerne la presenza. Il percorso che fanno i due discepoli ci mostra la strada per poterlo fare.
Ai due Gesù chiede di conoscere i contenuti della loro discussione e si capisce che parlano di lui come di un Messia politico dal quale si sentono delusi, quindi amareggiati. Con la sua domanda Gesù è riuscito a far venir fuori dal cuore dei due le ragioni del loro dolore, ma anche il fraintendimento nel quale erano caduti.
“Stolti e lenti di cuore” parole forse dure ma sicuramente dette con dolcezza e spiega il motivo della loro confusione: hanno dimenticato di leggere gli eventi alla luce della Scrittura, si erano fermati alle logiche degli uomini. Certo, in nessun testo troviamo esplicitamente scritto che il “Messia avrebbe sofferto e sarebbe risorto il terzo giorno” ma questo è la logica delle Scritture che va rintracciata in quella harizah che Gesù espone loro, cioè una catena di brani scelti tra le Scritture quasi come una collana formata da pietre preziose (i versetti biblici) che, per essere unite le une alle altre, devono essere “perforate”; è necessario cioè “scrutare” ogni Parola alla luce della tradizione della fede per percepirne il senso profondo.
I due comprendono ed apprezzano quanto lo straniero ha loro detto, ma è una adesione ancora solo intellettuale, senza crederci fino in fondo. Se siamo sinceri dobbiamo riconoscerci nella loro situazione.
Ma poi, durante la cena, c’è il “riconoscimento” nella “frazione del pane”: “allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero, ma egli diventò loro invisibile” cioè non “sparì” ma cambiò le modalità della sua presenza, perché aveva accolto il loro invito a fermarsi “per restare con loro”, come la scorsa settimana “veniva e stava” tra i discepoli. Cristo oramai è presente nel corpo e nel cuore dei discepoli, diventando quel “fuoco” che ardeva in loro quando “ci parlava per via e ci apriva le scritture”. A questo punto si rimettono in cammino per tornare a Gerusalemme e raccontare agli undici e ai discepoli radunati quanto era loro accaduto e come lo avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Questo Evangelo è un breve trattato di teologia narrativa che ci dice come sperimentare nella nostra vita la presenza del Risorto. Innanzitutto senza disarmare per le delusioni o le difficoltà, stando in cammino ma non da soli, l’importante è essere anche solo nella forma della più piccola comunità (in due). Andando verso o cercando una sorgente che offra, dia calore (questo significa Emmaus), sostando ogni tanto per mettersi in ascolto della Parola di Dio, conversando (è questo il termine usato da Luca) tenendo conto di tutta la Scrittura, per esprimerne l’unità ed è questa che diventa quel pane spezzato da condividere che fa ardere il cuore. Per poi rimettersi subito in cammino verso la città dove siamo nati (secondo il Salmo 85,7 in Gerusalemme, la città dello Shalom dove tutti siamo nati) con la nostra vita riassunta ed illuminata alla luce di Cristo che si fa riconoscere come colui che ci accompagna in ogni momento della nostra esistenza.
(BiGio)
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