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L’ingresso a Gerusalemme - Mt 21,1-11

L'ingresso a Gerusalemme: per la folla un grande equivoco che procede tranquilla secondo quelle che sono le sue aspettative senza lasciarsi interrogare dai segni posti da Gesù.



È giunto al termine il cammino della nostra Quaresima che ci ha chiamato a “sperare al di là di ogni speranza umana” (Rm 4,18) invitandoci a resistere alle seduzioni del potere, ad accogliere l’invito ad ascoltare il Signore che ci svela quale è la nostra “sete”, ci apre gli occhi per poter leggere la realtà con i suoi, inserendoci nella sua sequela di “inviato”, operare come lui ha operato ed avere così la nostra vita resa degna di essere vissuta in eterno, risorta già oggi nel nostro quotidiano.


Oggi è primo giorno della Grande e Santa Settimana e, nella nostra tradizione, facciamo innanzitutto memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme. Facilmente comprendiamo questa circostanza come un momento di festa gioiosa e, a questo, siamo invitati a fare dalle stesse parole della Liturgia: “Imitiamo, fratelli e sorelle, lo folle che acclamavano Gesù”. Una volta poi in chiesa il tono di festa sarà bruscamente smorzato dalla proclamazione della Passione del Signore e in genere poco ci si sofferma sul voltafaccia della folla che, nell’arco di quattro giorni, passa dall’accoglienza di Gesù come un trionfatore, all’invocare la sua morte gridando “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”.

Se, però, si facesse maggiormente attenzione a quello di cui si fa memoria, ci sarebbe poco da gioire nell’imitare quella folla festante che stende i suoi mantelli davanti al cammino del Signore. Azione che significa la volontà di mettere la propria persona – togliersi il mantello significava spogliarsi di ogni protezione - totalmente a sua disposizione, ad essere disponibili a sottomettersi e seguirlo senza condizioni. Questa “grande folla”, non fa attenzione ai segni posti da Gesù e procede invece tranquilla secondo quelle che sono le sue aspettative senza lasciarsi interrogare. In fin dei conti è l’atteggiamento di coloro che “sapevano” tutto nell’episodio della guarigione del cieco nato ma che, appunto per questo, non riescono a “vedere” e rimangono accecati, permangono nell’oscurità delle proprie sicurezze.

Eppure dovrebbe essere chiaro: Gesù siede su di un’asina a richiamare una profezia di Zaccaria (9,9) che Matteo rivisita adattandola alla figura del Signore, togliendone i caratteri trionfalistici. Non invita la Figlia di Sion ad “esultare” e a “giubilare” per l’arrivo del suo re che, Matteo, non aggettiva come “giusto e vittorioso” ma semplicemente lo definisce come “umile”. Questo perché la “vittoria” di Gesù sarà la sua Risurrezione che è il “” del Padre ad una vita vissuta nel dono totale di sé stesso e per questo degna di essere vissuta per sempre. È questa sua vita che lo rende “giusto” davanti a Dio e non giustificato (cioè “da Lui reso giusto” come sarà per noi nel momento del giudizio alla fine dei tempi).

Davanti all’incedere di Gesù, la folla taglia poi fronde e rami dagli alberi e li agita davanti al suo cammino facendogli cornice con questi. Questo significa che imita quanto accade per la Festa delle Capanne durante la quale una tradizione dice che si manifesterà il Messia e, infatti, la folla acclama Gesù con “Osanna al figlio di David” che significa “Forza, salvaci figlio di David!” chiedendogli di fare come tuo padre: restaurare il Regno di Israele con il potere e la forza. È un chiaro invito opposto alla missione che il Gesù sta compiendo. Non è venuto a “salvare” Israele come Figlio di Davide, cioè a riscattare il popolo dalla dominazione romana che era una delle più condivise caratteristiche del Messia atteso. La sua missione come Figlio di Dio è ben altra di quella politicamente vittoriosa e gloriosa che era vagheggiata dalla folla che lo circondava volendolo spingere in una direzione che non era quella da lui scelta: il dono di sé nella volontà del Padre. Era capitato già altre volte e di solito era svincolato via. Questa volta pare accettare ma è solo un abbaglio. Infatti appena entrato a Gerusalemme, nel cortile del Tempio, rovescerà i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe che avevano trasformato la Casa di preghiera del Padre in una spelonca di ladri.

Mentre entrava a Gerusalemme “tutta la città fu presa da agitazione”, fu turbata. È la medesima espressione che troviamo in Mt 2,3 quando i Magi giungono a Gerusalemme e chiedono dove sia nato il Re dei Giudei, indicazione che poi troveremo sul cartiglio apposto sopra la sua croce. 

Questo Evangelo e la sua azione nel tempio non possono non richiamare alla memoria quello della prima domenica di ogni Quaresima: le tentazioni, nelle quali Gesù rifiuta la seduzione del potere in qualsiasi forma e contaminazione questo possa manifestarsi, sia questo politico, sociale, sia quello del denaro e dell’interesse personale.

Basta allora poco alla folla rendersi conto che Gesù non era quel Profeta che loro attendevano come rispondevano a chi chiedeva chi fosse quel personaggio acclamato e, quindi, delusi e disillusi, passano velocemente dall’acclamazione alla richiesta di condanna.

(BiGio)

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