Chi è il pastore autentico? un esempio: S. Ambrogio

Ambrogio ha potuto essere pastore perché ha saputo salvaguardare l’essenziale: la sua relazione con Signore e ha compreso che il Pastore buono è e resta uno solo: Gesù

Se è vero che un gregge non può vivere senza pastore, è altrettanto vero che un gregge non può vivere con un pastore qualsiasi, e Gesù lo sa bene. Perché vi sono pastori, oggi come ieri, che si comportano da estranei, o da salariati o, ancora, da ladri e briganti (cf. Ez 34); figure che avvicinano le pecore ma che non sono disposte a dare la vita per le pecore; non le conoscono, non vivono, in definitiva, una relazione con le pecore, ma il loro interesse nell’avvicinare il gregge è decisamente altro: pascere sé stessi, incuranti di quanto accade alle pecore.

Cosa distingue il pastore legittimo dalle altre figure?

Due comportamenti, fondamentalmente: il modo di introdursi nell’ovile e il rapporto con le pecore.

Il pastore autentico sceglie di entrare per la porta, che è Cristo stesso (v. 9), sa che non ci sono altre vie di accesso; sa che quella porta, anche se stretta (Lc 13,24) apre alla vita, alla vita piena, che è il profondo desiderio di Gesù (v. 10).

E poi il pastore autentico entra in relazione con le pecore, le chiama ciascuna per nome, le conduce fuori in una relazione, quindi, che ha lo scopo di dare la vita, non di toglierla, come fanno invece ladri e briganti; relazione che implica il compromettersi radicalmente per la vita dell’altro, senza fuggire quando si avvicinano difficoltà e pericoli, come avviene invece per il salariato (cf. Gv 10,12). Insomma, in tale pastore traspare la qualità “bella” del Pastore per eccellenza, che è Gesù stesso (cf. Gv 10,11), colui che dà la sua vita per le pecore.

Un esempio: in Sant’Ambrogio, vescovo di Milano del IV secolo, la chiesa ha riconosciuto i tratti del pastore a immagine di Cristo. Ambrogio ha potuto essere pastore perché ha saputo salvaguardare l’essenziale: la sua relazione con Signore. Egli infatti ha innanzitutto scelto di farsi lui pecora alla sequela del Pastore buono, ascoltando la sua voce (v. 3). Ha poi compreso che avrebbe potuto essere pastore solo a due condizioni: entrare attraverso l’unica porta legittima, la Scrittura, meditandola, custodendola e poi spezzandola per le pecore a lui affidate e accettando di dare la sua vita per Gesù; non direttamente per le pecore, ma per Gesù, e solo in virtù di ciò per le pecore. Infine, Ambrogio ha compreso che il Pastore buono è e resta uno solo: sarebbe stato Gesù che, attraverso il suo amore e la sua sequela, avrebbe continuato a pascere il gregge, e lui, Ambrogio, pascendo il gregge, avrebbe attuato la sua vocazione, cioè dato carne alla sua sequela e al suo amore per Gesù.

E noi? Ciascuno di noi è pecora chiamata ad ascoltare la voce del Pastore, e a camminare con le sue sorelle del gregge, ma ciascuno di noi è chiamato anche a farsi pastore per le altre pecore, come Ambrogio e tanti altri hanno fatto. 

La linea che separa gratuità del pastore e interesse di tutte le altre figure è sottile, e sempre siamo tentati di oltrepassarla. Ma ricordiamo: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, non per vergognoso interesse ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,2-4).

(Sr. AnnaChiara di Bose)

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