Migranti: le questioni oltre gli slogan

Erano state 2.406 le morti accertate nel Mediterraneo, e 2.062 nel 2021, senza che un’opinione pubblica distratta fosse disposta a versare qualche lacrima o, più ancora, a incrinare la leggenda di un paese assediato da torme di migranti. Ma la tragedia di Cutro alla fine di febbraio, a pochi metri dalle coste della Calabria jonica, ha scosso la coltre dell’indifferenza, obbligando tutti a guardare negli occhi la sorte di chi attraversa il mare con mogli e figli a rischio della vita. E obbligando a interrogarsi sui dispositivi di sorveglianza del mare e di salvataggio di chi è in pericolo.

Sono quindi serie le questioni che s’intrecciano intorno al naufragio di Cutro e delle risposte politiche che il governo ha fornito, prima con la campagna anti-ONG, poi con la tardiva e teatrale convocazione del Consiglio dei Ministri nella cittadina calabrese il 9 marzo scorso.

Anzitutto, i numeri degli sbarchi smentiscono chiaramente il teorema secondo cui i profughi arriverebbero a causa della presenza delle navi umanitarie pronte a salvarle (i “taxi del mare”, o i “vice-scafisti”, secondo la crudele retorica sovranista). Le navi delle ONG nel 2022 hanno soccorso e sbarcato in Italia meno del 12% del totale delle persone arrivate via mare. Come si è scoperto nel caso di Cutro, gli altri arrivano o con i propri mezzi, oppure vengono tratti in salvo da Marina Militare e Guardia Costiera, a volte anche da comuni navi mercantili. Nel 2023, a decreto anti-ONG in vigore, a fine febbraio erano sbarcate in Italia 14.104 persone, contro 5.345 nel 2022 e 4.304 nel 2021. Dunque con meno navi umanitarie a presidiare il mare è arrivato il triplo dei profughi. Le ragioni delle partenze sono più complesse degli slogan. Basti pensare alla provenienza delle vittime di Cutro, in larga prevalenza afghane.

La seconda questione riguarda l’organizzazione dei soccorsi. Il governo non ha fornito spiegazioni convincenti, dicendo prima che non era stato avvertito, poi che il mare grosso aveva impedito di far uscire le navi militari, quindi, una volta resa nota la segnalazione di Frontex, che l’informazione non parlava di una barca in pericolo. E’ emerso un conflitto di competenze tra ministeri e corpi militari (Guardia di Finanza e Guardia Costiera), nonché un implicito discredito delle competenze tecnico-professionali degli addetti alla sorveglianza delle coste: serviva una segnalazione più circostanziata di Frontex per rendersi conto che la barca rischiava di affondare nel mare in tempesta? Sconcerta in ogni caso, per un governo che fa della difesa dei confini un principio inscalfibile, l’idea che un natante non identificato possa approdare indisturbato sulle nostre coste, senza essere intercettato e controllato.


L'articolo di Maurizio Ambrosini continua a questo link: 




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