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Non nel nome di Dio: come si fonda la corruzione della violenza nelle religioni abramitiche

Questo libro è un richiamo accorato e severo per tutti coloro che hanno smarrito la via e uccidono nel nome del Dio della vita, fanno la guerra nel nome del Dio della pace e praticano la crudeltà nel nome del Dio della compassione.


Il XXI secolo si deve confrontare con il costante aumento dell’estremismo religioso e della violenza nel nome di Dio. In questo libro straordinario, Jonathan Sacks ne esplora in profondità le radici e, concentrandosi su ebraismo, cristianesimo e islam, dimostra che perfino la più compassionevole delle religioni può essere corrotta dalla violenza quando la lettura dei testi si cristallizza e cessa di rinnovarsi nel tempo alla luce della verità dell’unità di Dio e del rispetto dell’altro.

Qui di seguito un abstract:


"Mosè passò l’ultimo mese della sua vita rivolgendosi alla nazione con alcuni dei discorsi più lungimiranti mai pronunciati. Esistono a tutt’oggi nel libro del Deuteronomio. Questo è il libro che contiene il grande precetto che definisce l’ebraismo come una religione d’amore: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze» (Dt 6, 5). Come contiene il più importante precetto nella relazione tra gli uomini: «Amerete lo straniero perché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto» (Dt 10, 19). Il Deuteronomio contiene la parola«amore» più che ogni altro libro mosaico. La cosa non ci sorprende. Mosè aveva parlato prima dell’amore, com’è ampiamente noto, nel precetto: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19, 18). Il monoteismo abramitico fu il primo sistema morale basato non soltanto sulla giustizia e la reciprocità – fai per gli altri ciò che vorresti gli altri facessero per te – ma sull’amore. Ciò che è realmente inaspettato è ciò che dice a proposito dell’odio: Non odiare l’egiziano, perché fosti uno straniero nella sua terra.(Dt 23, 7) Questo è un precetto controintuitivo. Ricordate ciò che era accaduto. Gli egiziani avevano reso schiavi i figli d’Israele. Avevano dato inizio a una politica di lento genocidio, uccidendo alla nascita ogni maschio israelita. Mosè aveva ripetutamente chiesto al Faraone di lasciare andare il suo popolo e il Faraone aveva rifiutato. Mosè sapeva anche che tutto questo capitolo della storia ebraica non era accidentale o occasionale. Era la loro matrice come nazione, la loro esperienza formativa. Venne loro ordinato di ricordarlo per sempre, rappresentandolo una volta l’anno a Pesach, mangiando il pane azzimo dell’afflizione e le erbe amare della schiavitù. Tutti questi, a prima vista, erano motivi per odiare gli egiziani o, quantomeno, per guardare al passato con un senso di offesa, risentimento, animosità e dolore. Perché allora Mosè disse il contrario? Non odiateli, perché foste stranieri nella loro terra. Perché, per essere liberi, dobbiamo liberarci dell’odio, questo è ciò che stava dicendo Mosè. Se i figli d’Israele avessero continuato a odiare i loro nemici di un tempo Mosè sarebbe riuscito a portarli fuori dall’Egitto, ma non sarebbe riuscito a portare fuori da loro l’Egitto. Con la mente, sarebbero rimasti ancora là, schiavi del passato, prigionieri dei loro ricordi. Sarebbero rimasti in catene, non quelle di metallo ma quelle della mente. E le catene mentali sono, talvolta, le peggiori di tutte". 

(Jonathan Sacks)


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